QUELLA FRANCESE FU UNA RIVOLUZIONE BORGHESE, NON PROLETARIA

DI LUCA BAGATIN

Il 14 luglio si è ricordata, in particolare in Francia, la presa della Bastiglia, ovvero l’avvio di quello che passerà alla Storia come l’inizio della Rivoluzione Francese (1789).

Lungi dall’essere una rivoluzione proletaria e di popolo, atta a portare avanti le istanze del Quarto Stato, la Rivoluzione Francese fu borghese e bottegaia e sostituì, semplicemente, una classe – quella aristocratica – con un’altra – quella borghese, appunto – alla guida dello Stato.

Molti ritennero, a torto, che quella francese fosse una “rivoluzione massonica”, solamente in quanto fu usato – nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 1789 – il motto coniato dal conte di origine portoghese Alessandro Cagliostro, ovvero “Libertà, Uguaglianza, Fratellanza” (successivamente utilizzato – ancor oggi – dalle logge massoniche in tutto il mondo).

Cagliostro fu personalità vicina al popolo di Francia e di tutta Europa – inviso alle élite – e tentò persino di portare un rinnovamento spirituale profondo nella Massoneria dell’epoca, auspicandone una riunificazione (e aprendo le logge alle donne).

Purtuttavia il messaggio di Cagliostro fu unicamente spirituale e nulla aveva a che fare con la politica e, in particolare, egli non avrebbe mai approvato il bagno di sangue che portò con sé la Rivoluzione, che per Cagliostro doveva essere unicamente interiore e spirituale.

Da dire, peraltro, che furono molti di più i massoni finiti sulla ghigliottina, rispetto ai massoni rivoluzionari.

Portatrice di un rinnovamento che giovò molto poco al proletariato francese dell’epoca – che rimase sottomesso – la Rivoluzione Francese trovò una sua dimensione più conciliante qualche decennio dopo, con l’avvento di Napoleone il Grande, il quale riconciliò le classi popolari con quelle aristocratiche.

Fu infatti con Napoleone che furono avviate riforme sociali importanti e fu ripristinato un ordine perduto con il Terrore, imposto dai giacobini. E fu con Luigi Napoleone Bonaparte, ovvero con Napoleone III, dichiaratamente socialista sansimoniano (e già aderente alla Carboneria italiana), che furono introdotte una serie di riforme che giovarono al proletariato quali: abolizione del lavoro la domenica e i giorni festivi; creazione di crediti per gli agricoltori; creazione di società di mutuo soccorso; introduzione di ispettori del lavoro; creazione del pensionamento per i dipendenti pubblici; concessione di onoreficenze a operai e donne; istituzione di ospedali e asili per disabili; autorizzazione dei sindacati sindacati e introduzione di una legge sulle società cooperative; introduzione delle scuole primarie gratuite anche per le ragazze.

Queste solo alcune importanti riforme, che pur non bastarono al proletariato francese, il quale – cogliendo l’occasione della sconfitta della Francia contro la Prussia di Bismarck – si sollevò, nel 1871, nella prima rivoluzione proletaria e socialista della Storia, che istituì la famosa Comune di Parigi. Primo governo social-comunista al mondo.

La Comune durò poco, ma ispirò altre rivoluzioni proletarie vittoriose, come quella russa del 1905 e del 1917, che edificò il primo Stato socialista, peraltro plurinazionale, conciliando dunque popoli differenti, uniti nel socialismo e nell’emancipazione delle classi proletarie.

Da non dimenticare, ad ogni modo, altre importanti rivoluzioni che – a differenza della borghese Rivoluzione Francese – furono improntate a un carattere essenzialmente proletario e in favore di operai e contadini. Pensiamo ai moti mazziniani e garibaldini risorgimentali che, oltre all’Unità d’Italia miravano a radicali riforme sociali (non dimentichiamo infatti e peraltro che Mazzini e Garibaldi parteciparono, assieme a Marx, Engels, Bakunin e Proudhon, alla costruzione della Prima Internazionale dei Lavoratori, nel 1864, prima associazione socialista della Storia).

E pensiamo anche al movimento anarco-comunista ucraino di Nestor Makno, che promosse forme di autogestione socialista nel periodo della rivoluzione russa, purtroppo scontrandosi con Lenin e finendo per rimanerne sconfitto.

Non tutte queste rivoluzioni ebbero successo, oppure finirono non sempre in modo glorioso. Ma partirono da grandi ideali di emancipazione, che coinvolsero quel Quarto Stato che la tanto osannata Rivoluzione Francese ignorò del tutto. E questo non va dimenticato.

Ideali di emancipazione ormai sopiti, forse proprio da quei regimi liberal-liberisti descritti dallo scrittore russo Eduard Limonov nei primi Anni ’90 nel suo “Le grand ospice occidental”, pubblicato in Francia da Les Belles Lettres nel 1993, ripubblicato – sempre in Francia – da Bartillat e ripubblicato di recente anche da da Bietti, con il titolo “Grande ospizio occidentale”.

Regimi che usano una forma di oppressione soft, come la pubblicità commerciale e un benessere materiale effimero. Che trattano i propri sudditi come pazienti bisognosi di cure, educazione e rieducazione (secondo i diktat del mercato e del consumo). E che, così facendo, reprimono ogni dissenso in modo molto più semplice (ed efficace) rispetto al passato.

Probabilmente aveva ragione il buon conte Alessandro Cagliostro. Occorre una rivoluzione interiore e spirituale, che apra gli occhi, ma soprattutto le menti e i cuori del nuovo Quarto Stato. Che non è affatto scomparso.

Luca Bagatin

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