DI MARIO PIAZZA
Ho molto rispetto per i tassisti, lavoratori che svolgono un lavoro duro e pericoloso per un guadagno modesto.
Non mi importa che in linea generale siano una corporazione potente, che siano prevalentemente elettori di destra, che a volte facciano i furbi coi tassametri e con gli itinerari e che spesso siano introvabili. Ciò che difendono è il pane quotidiano, non fantomatici previlegi.
Detto ciò, ogni volta che li sento definire un “servizio pubblico” mi si aggrovigliano le budella per come questo ultimo stadio del capitalismo avanzato che chiamiamo liberismo abbia storpiato il vocabolario e di conseguenza il pensiero che da esso deriva.
Servizio pubblico sta gran cippa, ecchecavolo!
Servizio pubblico è ciò che è a disposizione di tutti a prezzi accessibili e gestito dai rappresentanti della collettività siano essi stato, regione o comune.
Servizio pubblico sono la sanità, la scuola, la polizia o la nettezza urbana. Il taxi è un servizio privatissimo a cui può accedere soltanto la parte più ricca della popolazione, non diverso dalle cliniche, dalle palestre e dai ristoranti. Per la maggior parte delle persone il taxi è una costosa iattura a cui si è costretti a ricorrere in situazioni obbligate e spesso drammatiche, mai una libera scelta.
Chi si può permettere di viaggiare in taxi come se fosse un normale mezzo di trasporto si è stufato delle lunghe attese? Ha tutta la mia comprensione ma non ne farei un dramma, il vero dramma è come quel terzo di popolazione che se la passa meglio stia facendo perdere il senso delle cose agli altri due terzi.