DI BARBARA LEZZI
Per quanto riguarda il salario minimo, non ho timore di dire che si è arrivati a questo punto, in cui buona parte dei lavoratori è povero, per responsabilità dei sindacati a cui tutto il campo progressista e di sinistra continua a lisciare il pelo senza metterlo nelle condizioni di fare un bell’esame di coscienza sulle loro incapacità e sulle ambizioni dei segretari che hanno preso il posto dei diritti dei lavoratori.
D’altronde, il percorso quasi obbligato è sempre lo stesso: prima segretario e poi parlamentare. Bravi, applausi!
Intanto, però, ci si ritrova con un problema enorme, stratificato nel tempo e che il salario minimo da solo non potrà risolvere. Non dico di essere in disaccordo con un salario minimo legale, ci mancherebbe altro ma a un tema complesso si deve rispondere con un’elaborazione di proposte efficaci sotto ogni profilo.
Esiste il rischio che il salario minimo legale imposto alle nostre micro imprese sia un valido escamotage per non applicare il contratto nazionale al lavoratore?
Se sì, come io credo, come si risolve?
Esiste il rischio che molte delle nostre micro imprese non sia in grado di ottemperare a quest’obbligo?
Come si risolve?
Si sta pensando di agire sulla leva fiscale per queste categorie?
Le politiche attive e gli ammortizzatori sociali sono all’altezza dei tempi che viviamo?
Direi di no.
Come si vogliono agganciare questi aspetti al salario minimo?
Anche non avere reddito perché licenziati o non avere la possibilità di aggiornarsi con formazione adeguata è una violazione dei diritti dei lavoratori.
Mi direte che si deve conquistare una cosa alla volta. Vero, purché la conquista non diventi controproducente perché sono troppi i lavoratori che non ce la fanno più, che a malapena riescono a vivere e che vedono il futuro sempre più grigio.