DI ALFREDO FACCHINI
Il 29 Agosto del 1980 ci lasciava Franco Basaglia, il più grande rivoluzionario della Storia italiana contemporanea.
Si perché “El dotor dei mati”, ha avuto la sfrontatezza di pensare l’impensabile: chiudere i manicomi. Quanto c’era di più malvagio in quel paesone bigotto e lombrosiano che era l’Italia nel 1978.
<<Curare un paziente psichiatrico con elettroshock è come prendere a cazzotti un televisore per regolare la frequenza>>.
I manicomi erano i mattatoi dell’anima: cancelli, sbarre, inferriate, chiavi, catene, lucchetti, cinghie, fasce, pasticche, siringhe; strilla, urla, pianti, lamenti; padiglioni, stanzoni, guardiani, ruggine, infezioni, brodaglie, pidocchi, urine, feci, botte, stupri; celle di isolamento, letti di contenzione, camicie di forza, docce gelate, tamponi in bocca; elettroshock, lobotomie.
A quelli barellati e cinghiati gli imbracavano braccia e gambe, mentre a quelli un gradino meno “vivaci” gli legavano solo gli arti superiori o solo quelli inferiori. Legacci che facevano sprofondare nei crepacci dell’anima.
Se finivi in quei mattatoi non ne uscivi più. E se scappavi commettevi reato. Era sufficiente che un dottorunculo diagnosticasse che un soggetto fosse <<pericoloso a sè e agli altri o che sia di pubblico scandalo>>, e sparivi in una cartella clinica dentro un faldone.
La legge del 1904, <<sugli alienati di mente>>, era una legge in tutto e per tutto di polizia, creata non per curare la malattia o per assistere i malati, ma per dare una rassettata alle strade di un’Italia “unta” dall’emarginazione incontenibile.
La legge affidava al medico un mandato a custodire, sorvegliare e punire, lo psicotico, il pericoloso o colui che procurava pubblico scandalo.
Franco Basaglia – psichiatra e neurologo – era nato a Venezia nel 1924. Mise in pratica le sue teorie nei manicomi di Gorizia e Trieste.
Nel 1949, si laurea in medicina all’ Università di Padova. Familiarizza con l’esistenzialismo di Jean-Paul Sartre, sul quale baserà tutta la sua attività psichiatrica.
Nel 1953 si specializza in malattie nervose e mentali presso la facoltà della clinica neuropsichiatrica di Padova.
Nel 1958 diviene docente di psichiatria presso l’Università di Padova. Ma nel 1961 decide di lasciare l’insegnamento per trasferirsi a Gorizia con la famiglia, dove era stato nominato direttore dell’ospedale psichiatrico.
Qui inizia la sua battaglia per restituire ai malati dignità e diritto alle cure.
In primo luogo viene eliminata la terapia elettroconvulsivante.
Trasforma i manicomi da lager in comunità terapeutiche, in cui medici, operatori e pazienti possiedono pari dignità e pari diritti.
Nel 1967 scrive il saggio più celebre: L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico.
Nel 1971, mette in opera l’idea dei laboratori artistici di pittura e teatro per i pazienti: attraverso la produzione artistica, i malati riescono a rappresentare se stessi e il rapporto con l’altro, comunicano i propri disagi interiori e le insicurezze, ritrovano la propria identità e si relazionano meglio agli altri. Nascono, dunque, comunità attraverso cui i pazienti possono svolgere lavori utili e anche socialmente condivisibili. Basaglia raggiunge lo scopo della reintegrazione sociale dei malati e fa notare l’inconsistenza di un processo volto alla discriminazione e disumanizzazione dell’essere umano. (Gariwo)
Nel 1973 fonda il “movimento Psichiatria Democratica”. Nel 1977 ottiene la chiusura dell’ospedale psichiatrico di Trieste.
Il 13 maggio 1978 la svolta: viene ratificata la legge 180, nota come “legge Basaglia”, che porta alla chiusura dei manicomi.
Per Basaglia era semplicemente ovvio che solo la libertà fosse terapeutica. Se perdi tutto, perdi anche te stesso. Per sempre.