DI GIOACCHINO MUSUMECI
Non si contano i bonus proposti dal governo Meloni.
L’irreprensibile premier, in calo di consensi più che prevedibile, passa dalle acerrime critiche all’assistenzialismo del governo Conte, allo statalismo di riserva, ovvero le toppe peggiori dei buchi.
Il disastro odierno era scontato, non si può eludere grottesca insufficienza con la battente propaganda mediatica che i cittadini pagheranno carissima.
Ansiosa di accreditarsi presso i potenti che giurava di combattere la Meloni ha finito per essere masticata dall’atlantismo che ne ha cancellato ogni connotato nazionalista, trasformandola nella colonnella servile e irriconoscibile addomesticata da Biden e Von Der Leyen.
Meloni andrebbe studiata in quanto sintesi cristallina di vassallaggio militarista rovinoso per il bilancio dello Stato.
A corto di denari, dopo aver strizzato l’occhio a evasori e millantatori d’ogni sorta, dalle accise cancellate mai all’ultimo bonus benzina il passo è stato breve. Tagli al comparto pubblico e aperture a ulteriori privatizzazioni dal governo che così beffa il largo mandato popolare, si fa per dire, invocato al principio di un percorso politico il cui esito prossimo è lo schianto sulla muraglia di limiti ben oltre le più fosche previsioni.
Come si cambia quando si governa.
Peccato, tanti italiani hanno voluto provare la novità – che ridere– per constatare sia la classe dirigente meloniana specchio di ideologie vecchie come il cucco, sia metodi che di rivoluzionario hanno solo l’ignoranza con cui sono ciecamente applicati. Ma non importa, bisogna precipitare all’inferno per risalirne maturati.
– Ricorderemo Giorgia Meloni come la leader delle promesse infrante a cominciare dagli sbarchi dei migranti. Ovvero il cavallo di battaglia su cui sedeva la rampante Giorgia non era che un rachitico pony coi trampoli.
– Ricorderemo Meloni per i suoi camerateschi ” siamo pronti ” risolti nei quotidiani strafalcioni istituzionali, conferenze stampa schivate e silenzi penosi. Ma oltre che sulle innumerevoli promesse infrante, c’è un dato gravissimo a crocefiggere Giorgia Meloni sulla croce dell’arroganza politica e gli inganni con cui ha tratto consenso: il PNRR su cui il governo crolla come un castello di sabbia sotto la “pisciatina” di un neonato.
Il PNRR condanna la Meloni a bruciare come una Giovanna D’Arco di serie z sulla pira delle 17 riforme “inevase” che inchiodano i ministri del governo più ridicolo dell’ultimo trentennio. Una per tutte: il 94% dei comuni italiani è a rischio idrogeologico ma il governo non riesce a spendere 1,3 miliardi del Piano Nazionale per contrastare alluvioni, frane ed erosione costiera. Ciò oltre 15 miliardi fatti fuori dalla bozza di rimodulazione del PNRR redatta da Fitto, campione di nullità. Lo stesso dicasi di colleghi scelti con la celerità dell’irresponsabile avida del potere agognato per anni, di si è sottovalutata complessità e delicatezza.
Il fallimento sui vari fronti del PNRR sarà la stella di Davide che per una beffarda legge del contrappasso Meloni, politicante insufficiente e chiacchierona, non potrà cancellare mai. Ossessionata dalla furia antigrillina al limite del disturbo, Meloni fallisce nell’unico obiettivo che ne avrebbe giustificato il governo: l’occasione irripetibile di investire miliardi guadagnati da quel Conte deriso e umanamente imperfetto ma infinitamente superiore alla premier odierna e tutti coloro che hanno creduto nel suo patetico bluff.