DI ANTONELLO TOMANELLI
Questa sera Novak Djokovic e Daniil Medvedev si affronteranno nella finale dello Us Open. Un russo contro quel serbo che da anni gli USA vedono come il fumo negli occhi. Il tutto nell’Arthur Ashe Stadium di Flushing Meadows, New York, il tempio del tennis americano, a due ore di macchina dal luogo in cui Biden è solito tramare.
La ruggine tra gli Usa e Djokovic risale nel tempo, da quando in un’intervista gli fu posta una domanda sul Kosovo, che lui ha sempre considerato parte integrante della Serbia: «Immaginate gli USA privati di uno Stato che fu la culla della loro storia. Questo è il Kosovo. Ma purtroppo ci sono poteri che non si possono combattere», fu la risposta.
Poi, il più forte tennista del mondo che si rifiuta di inocularsi, con il timore di una emulazione tra i giovani e i meno giovani. Un tipo così, meglio farlo sparire per un po’: nel 2022 niente Australian Open e niente Us Open; e porte in faccia da ogni torneo USA.
Quanto a Medvedev, la sua colpa è evidente a tutti: essere nato a Mosca. Lui e i suoi connazionali, compresi i bielorussi, li hanno fatti sparire soltanto da Wimbledon 2022. Gli altri tornei li giocano tuttora da apolidi, perché i loro nomi e le loro facce non sono associate ad alcuna bandiera. Sul display del punteggio, a fianco del loro nome c’è una casella bianca, o nel migliore dei casi la scritta «cittadino del mondo». Insomma, i russi non esistono, quindi non si può essere russi.
Immaginiamoci la faccia di Biden quando ha saputo che la finale se la sarebbero giocata un russo e quel maledetto onnipresente serbo, proprio ora che il conflitto Nato-Russia pare intensificarsi, e a un passo da casa sua. Uno dei suoi peggiori timori si è avverato.
E per Biden sarebbe andata peggio, se sul fronte femminile la bielorussa Aryna Sabalenka, numero uno al mondo, non fosse stata ieri sera liquidata in finale dalla americana Coco Gauff. Dopo un ottimo primo set, la bielorussa è stata inspiegabilmente presa a pallate dalla 19enne di colore, nata in Florida e classificata WTA già a 14 anni.
Chissà, forse nell’equilibrio psichico della bielorussa, che nel tennis è tutto, possono aver influito le dichiarazioni, ampiamente riprese dai media a poche ore dalla finale, di Sergiy Stakhovsky, un ex tennista ucraino la cui limitatissima fama deriva unicamente dall’aver sconfitto Federer dieci anni fa a Wimbledon, senza sapere come. Parlando della Sabalenka ha detto: «Non ha fatto niente per fermare questa guerra».
Cosa avrebbe potuto, e soprattutto dovuto fare la Sabalenka, che di professione fa la tennista, per fermare questa guerra, lo sa solo lui.