DI ALFREDO FACCHINI
È il 3 ottobre 2013. 6.40 del mattino.
Alle porte di Lampedusa un peschereccio con a bordo più di cinquecento migranti eritrei e etiopi va in panne. I motori non rispondono più ai comandi.
Qualcuno prova a incendiare una coperta per segnalare la posizione della nave.
Divampa un incendio.
È il panico.
L’imbarcazione affonda.
C’è chi si getta in mare. I soccorsi della Guardia costiera arrivano troppo tardi.
Bilancio: 368 morti, 20 dispersi, solo 155 sopravvissuti.
Dal 2014 a oggi, secondo il progetto “Missing migrants” agenzia delle Nazioni unite, oltre 26mila persone hanno perso la vita sulle tre rotte del mar Mediterraneo.
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Un cimitero in fondo al mare.