DI PIERO ORTECA
Dalla redazione di REMOCONTRO –
Avvisaglie di una nuova guerra sull’energia. Putin taglia l’export di diesel e ne aspetta i contraccolpi. Stati Uniti ed Europa come ‘cobelligeranti’ dell’Ucraina, e alle loro pesanti sanzioni, risponde cercando di infliggere altrettanto dolorose contro-sanzioni.
Blocco dei prodotti petroliferi già raffinati. E se non hai più le raffinerie che inquinano, dove vai? A piedi. Col rischio che chiuda anche i rubinetti del gas.
Senza diesel, meno inquinati e paralizzati
La Russia oltre a tagliare le esportazioni di greggio (di circa 300 mila barili/die), ha anche bloccato la vendita all’estero di benzina e, soprattutto, di diesel. Il petrolio russo lo puoi comprare, più o meno facilmente, da un altro fornitore, anche se i prezzi presto sfonderanno il muro dei 100 dollari. Invece, i carburanti sottoposti al processo di raffinazione hanno un mercato parallelo e particolare. Escono solo, come è ovvio, dagli impianti esistenti, che in Occidente o mancano o sono già al massimo della loro capacità produttiva. Per cui, l’offerta dipende non solo dalla disponibilità di greggio, ma anche dalla capacità di lavorarlo. Stando così le cose, il greggio che ti procuri non ti serve a niente se non hai le raffinerie per renderlo utilizzabile. Così il diesel russo, almeno per ora, finisce per essere praticamente indispensabile.
Segnali inquietanti per governanti distratti
Dopo l’annuncio arrivato da Mosca, giovedì scorso, la media dei prezzi diesel in Europa è salita del 5%, a 1.010 dollari a tonnellata, mentre il Brent si è attestato sui 94 dollari al barile. A questo punto, la strategia di Putin è chiara. Grazie all’accordo concluso con l’Arabia Saudita, che ha coinvolto l’Opec Plus a partire da giugno, i prezzi del greggio hanno guadagnato addirittura il 30%. Su questa prima scossa del mercato, ora si sovrappone la chiusura all’export dei carburanti raffinati russi. L’azione combinata, di queste due scelte, rischia di avere un impatto significativo sulla crescita globale. «Gli operatori di mercato temono che la Russia si stia muovendo per restringere l’offerta di petrolio – scrive il Financial Times – in un momento in cui le banche centrali stanno lottando per tenere sotto controllo l’inflazione. Tutto questo mentre i prezzi del greggio sono potenzialmente pronti a superare i 100 dollari al barile, per la prima volta in 13 mesi».
Attacco all’America di Biden
Rinunciare all’export significa perdere preziose entrate di capitali stranieri, ma la strategia di Putin ha prima di tutto un obiettivo geopolitico. Lui mira al bersaglio grosso. «I vantaggi dell’aumento dei prezzi del diesel e della benzina, in vista delle elezioni americane – pensano al Financial Times – potrebbero mettere in ombra i timori di danneggiare il settore petrolifero russo e le relazioni diplomatiche». L’anno scorso Biden si è difeso, rilasciando oltre 200 milioni di barili di petrolio dalla riserva strategica americana. Ma, forse, dicono gli analisti, è una mossa che non potrà ripetere facilmente. Con soli 350 milioni di barili di petrolio rimasti nel ‘serbatoio strategico’, la Casa Bianca dovrà pensarci due volte prima di autorizzare altri rilasci di emergenza. E già infuriano le polemiche, perché molti commentatori ritengono assolutamente pericoloso, per la sicurezza nazionale, che si sia raggiunto il punto più basso di ‘riserva petrolifera’ degli ultimi quarant’anni. E stiamo parlando solo del greggio.
Senza diesel niente camion, aerei, navi
Le note dolenti per Biden (e per l’Europa), però, come accennavamo prima, sono il diesel e il gasolio da riscaldamento. I prezzi per il carburante da autotrazione, negli Stati Uniti, si stanno impennando. La grande distribuzione, specie quella dei prodotti alimentari e di prima necessità, viene fatta attraverso il gommato e questo rischia di fare alzare gli oneri di trasporto. Che si scaricheranno sui consumatori. Secondo la società di consulenza ‘KPler’, ad agosto, via mare, la Russia ha esportato più di 30 milioni di barili di diesel e gasolio, che sono una quantità straripante. Questo per dimostrare la capacità che Mosca ha ancora di condizionare il mercato dei ‘raffinati’.
“Controsanzioni” russe
Alle origini della baraonda, le sanzioni energetiche alla Russia, dove l’Occidente si è mosso in ordine sparso, cercando di salvare la faccia (cioè di imporre le restrizioni) ma tutelando gli interessi di ognuno. Già nel marzo scorso, gli Stati Uniti ‘a certe condizioni’ (le loro) incoraggiavano l’import, fatto da broker privati, di prodotti petroliferi raffinati russi. Cioè, Mosca poteva continuare a guadagnare (e a investire nella guerra) perché tutto questo avrebbe stabilizzato il prezzo del greggio a livello mondiale. Naturalmente, ai russi si facevano esportare i prodotti già raffinati, perché così veniva comodo all’Occidente. D’altro canto, come conferma il Financial Times citando un trader del settore energetico, «gli americani vogliono davvero che il petrolio russo venga venduto». Insomma, sanzioni sì, ma a comodo nostro.
Se dopo il diesel tagliano il gas
“L’Agenzia internazionale per l’energia ha avvertito del rischio che la Russia interrompa i rimanenti flussi dei gasdotti per l’Europa, che passano attraverso l’Ucraina e la Turchia”.
«Se anche le forniture di GNL fossero inferiori e il tempo si rivelasse inclemente – l’Agenzia ha affermato – ci sarebbe il rischio di volatilità dei prezzi e interruzione della fornitura, specie nel caso di un’ondata di freddo nel prossimo inverno».
Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di
5 Ottobre 2023