DI ANTONELLO TOMANELLI
Quando un governo emana un decreto palesemente scritto con i piedi, che racconta l’esatto contrario di quanto dice la normativa UE, fonte ahimè sovraordinata al diritto interno di uno Stato membro, non c’è da meravigliarsi se un giudice non ne tiene minimamente conto. C’è invece da meravigliarsi se quel giudice viene messo alla berlina su Facebook da un membro di quello stesso governo.
Iolanda Apostolico, il magistrato del tribunale di Catania che pochi giorni fa ha disapplicato il decreto Cutro del governo Meloni, si è vista dare in pasto al pubblico da Matteo Salvini, che ha postato sul social un curioso video risalente a cinque anni fa.
Siamo nell’agosto 2018. La nave Diciotti della Guardia Costiera italiana è ormeggiata nel porto di Catania con a bordo 177 immigrati recuperati dal mare. Tra la procura di Catania e Salvini, ministro dell’Interno, incomincia un estenuante braccio di ferro.
Sul molo c’è chi manifesta, deplorando l’intransigenza del ministro leghista. Tra questi il giudice Iolanda Apostolico, che a quanto pare nessuno conosce. Ma in lei nessun impeto. Non parla nemmeno. La si vede attendere, quasi serafica, il corso degli eventi.
Evidentemente Salvini ha postato quel video per demolire l’imparzialità della Apostolico: se qualche anno fa manifestava a favore degli immigrati della Diciotti, non può aver espresso un giudizio sereno nel disapplicare il decreto Cutro. In effetti, chi vorrebbe farsi giudicare per vilipendio della religione cattolica da un magistrato che ogni domenica si reca in chiesa per seguire la Santa Messa.
Non vorrebbe, ma gli toccherebbe. Nessuna norma prevede che un giudice debba astenersi dal giudicare perché alcune sue idee sono in contrasto con quelle dell’imputato, né che non possa valutare una legge parte integrante di un sistema che ha dato prova di non condividere. Siamo in piena area dell’art. 21 della Costituzione, che tutela la libertà di pensiero, anche quella dei magistrati. Obbligare la Apostolico a non pronunciarsi sulla validità del decreto Cutro, o considerare la sua decisione illegittima sulla base di ciò che si vede in quel video, significherebbe comprimere la sua libertà di pensiero.
Non a caso i codici di procedura, sia civile che penale, quando trattano le numerose ipotesi di astensione e di ricusazione del giudice, non guardano minimamente a come può pensarla. In sostanza si presume che l’ideologia del giudice non possa distoglierlo dall’obbligo di imparzialità. Almeno si presume, fino a prova contraria.
Alla fine la bravata di Salvini si risolve in una eclatante violazione del diritto alla riservatezza della Apostolico. Vi è anche l’illecita diffusione di dati sensibili, avendo la pubblicazione di quel video spiattellato ai quattro venti le sue posizioni politiche. E la Apostolico non è un personaggio pubblico.
Viene in mente un caso simile, ancor più grave, accaduto nell’ottobre 2009, quando un programma di Canale 5 lanciò il servizio su un magistrato, ripreso a sua insaputa mentre fumava in strada attendendo il suo turno dal barbiere, camminando avanti e indietro, poi seduto sulla poltrona del barbiere, infine seduto su una panchina con i calzini corti color turchese. Con la voce fuori campo che puntava a collocarlo nel ridicolo.
Quel magistrato era Raimondo Mesiano, giudice del tribunale civile di Milano, che pochi giorni prima aveva condannato Fininvest a pagare 750 milioni di Euro alla Cir di Carlo De Benedetti. Era il danno prodotto dalla corruzione di quei magistrati romani che nel giudicare il «Lodo Mondadori», avevano assegnato il colosso editoriale alla Fininvest con una sentenza scritta nello studio di Cesare Previti, avvocato di Berlusconi.
Un messaggio che si ripete: un tipo bislacco condanna Fininvest, un’esaltata estremista blocca il decreto Cutro.
Un’ultima cosa. Da più parti si grida allo scandalo per il fatto che la Polizia continua a tenere quel video nei propri archivi dopo cinque anni. Si parla addirittura di schedatura. Possono tenere dati personali nei propri archivi i giornalisti, figuriamoci la Polizia.
Piuttosto, come quel video sia potuto uscire dagli archivi della Polizia e finire nelle mani di Salvini. È questo, semmai, che deve preoccupare.