IL DUBBIO

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Per le cancellerie occidentali, per le colonie europee di Washington, per il mainstream, la regola è sempre la stessa: il doppio standard.
Una formula geopolitica per cui se Hamas lancia razzi contro Israele è terrorismo.
Se Israele bombarda a tappeto Gaza è legittima difesa.
Ma sono gli stessi che fanno orecchie da mercante su quanto accade tutti i santi giorni da 75 anni nelle terre occupate abusivamente dagli israeliani.
Sono gli stessi che non sventolano le bandiere yemenite quando i tagliagole sauditi ammazzano i bambini di San’a.
Sono gli stessi che non agitano i vessilli della Rojava quando il compagnuccio di merende Erdogan bombarda il popolo kurdo.
Sono gli stessi che si sono fatti piacere il battaglione ucraino nazista Azov. Loro si, Hamas no.
Palestina non fa rima con Ucraina. Quello che vale per Kiev non vale per Ramallah.
La cantilena aggredito e aggressore sotto questa latitudine non suona.
Diciamolo subito: la guerra fa schifo. E Hamas non è la Mezza Luna Rossa. Ma niente, anche in quella melma avviene per caso.
Ad un certo punto la corda si spezza. I razzi prendono il posto dei sassi e delle fionde dei ragazzini di Gaza (nel 2023 i militari con la stella di David ne hanno uccisi 31).
Gaza è una polveriera.
Nonostante il ritiro dalla Striscia, l’esercito di Tel Aviv continua a gestire l’occupazione a distanza. Ma non con il binocolo. Niente e nessuno entra o esce da Gaza senza il permesso israeliano.
Poi c’è il blocco pressoché totale che riguarda terra, mare, spazio aereo e questo con conseguenze devastanti sulla popolazione. Mancanza di acqua potabile, elettricità a singhiozzo, disoccupazione record, ospedali senza attrezzature e medicine…
Gaza è la più grande prigione a cielo aperto del pianeta.
Poi ci sono i morti. Troppi. Sono oltre cinquemila i cittadini palestinesi residenti nella Striscia di Gaza uccisi in situazioni di conflitto dal primo gennaio 2008.
Ora nessuno è in grado di prevedere fino a dove si spingerà la controffensiva delle forze militari di Tsahal. Nella striscia di Gaza sono già oltre 200 i morti, migliaia i feriti.
Andando oltre l’orrenda superficie dei bollettini di guerra, bisognerebbe anche e soprattutto interrogarsi sull’inaspettato flop della più sofisticata macchina di intelligence del mondo.
Come è stato possibile che Shin Bet (l’agenzia di spionaggio per gli affari interni ), IDF (l’intelligence militare) e Mossad (controspionaggio all’estero) – con a disposizione tecnologie di ultimissima generazione e informatori e agenti infiltrati ovunque – non abbiano avuto il minimo sentore dell’arrivo sul proprio territorio di una selva di razzi e di un manipolo di miliziani? Come è potuto accadere che anche l’Unità 8200, spesso paragonata all’Nsa americana, abbia fatto cilecca?
Non sono un complottista, ma un po’ di domande sono abituato a farmele.
Innanzitutto il contesto.
Israele è alle prese da mesi con le proteste per la contestata riforma della giustizia. Una contestazione generale che ha semiparalizzato il paese. Al comando c’è poi un premier barcollante, travolto da scabrose vicende giudiziarie e accuse di corruzione. Quel Netanyahu alla guida di un governo che è stato definito dal presidente americano Joe Biden “il più estremista tra quelli che ho conosciuto”.
Ora si fa peccato a pensare che “qualcuno” nella catena di comando abbia voluto allargare le maglie della Sicurezza nazionale?
Perché è chiaro che l’operazione di Hamas, nel cinquantesimo anniversario della guerra dello Yom Kippur, è stata pianificata con largo anticipo, in ogni minimo dettaglio e portata a termine senza criticità.
Sentite Eli Maron, ex capo della marina israeliana: <<Tutta Israele si chiede: dov’è l’IDF, dov’è la polizia, dov’è la sicurezza? È un fallimento colossale; le gerarchie hanno semplicemente fallito, con vaste conseguenze>>.
“Cui prodest” è l’ultima domanda? Non sarebbe la prima volta nella storia che per stabilizzare si destabilizzi. E quale occasione migliore che una guerra per ricompattare un paese lacerato e diviso. C’è una seconda opzione, figlia della prima: quella di chiudere i conti una volta per tutte con Gaza sotto il controllo di Hamas.
mi fa male il cuore proprio qui, dove c’è la Palestina.