DI ALFREDO FACCHINI
C’è chi sostiene che Giorgio Gaber sia stato l’ultimo intellettuale della sua Generazione.
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Si perché, il “Signor G”, come in tanti lo chiamavano, ha cantato e recitato di politica, costume, amore, guerra, militanza. E lo ha fatto senza ipocrisie e conformismi.
Giorgio Gaber, pseudonimo di Giorgio Gaberščik, ci ha lasciati il 1 primo gennaio del 2003. Insieme alla sua “spalla” Sandro Luporini, ha scoperchiato il mal di vivere del nostro tempo.
<< … ho la sensazione molto forte che quello che vediamo accadere nel mondo ci lascia scioccati, ma privi di giudizio perché tutto è troppo lontano. Noi assistiamo a qualcosa di cui ci riferiscono i mass media, riceviamo notizie che passano sopra le nostre teste mentre aumenta la percezione che dietro al mondo politico esistano forze occulte>>.
Sempre avanti di un passo, come quando descrive gli inganni di quella cosa che chiamiamo “democrazia”:
<<Dal 1945, dopo il famoso ventennio, il popolo italiano ha acquistato finalmente il diritto al voto. E’ nata così la famosa democrazia rappresentativa, che dopo alcune geniali modifiche, fa si che tu deleghi un partito, che sceglie una coalizione, che sceglie un candidato, che tu non sai chi è, e che tu deleghi a rappresentarti per cinque anni. E che se lo incontri, ti dice giustamente: “Lei non sa chi sono io”>>. E ancora: <<Tutti siamo liberi basta arrivare fino lì … non un passo in più!>>.
Data di nascita 25 gennaio 1939. Milanese, ma di radici triestine. Siamo nella seconda metà degli anni ‘50 e studente della Bocconi, diploma di ragioniere, si trasforma prima in chitarrista Jazz e poi in cantante. Con lui ci sono Enzo Jannacci, Luigi Tenco, Sergio Endrigo. Passa per il Santa Tecla dove Adriano Celentano lo vuole come accompagnatore alla chitarra. Qui incontra Sergio Rapetti in arte Mogol. Sarà lui ad offrirgli il primo contratto discografico.
<<Apice dell’avventura, probabilmente, l’isterica serata del Primo Festival Nazionale del Rock And Roll, 18 maggio 1957 al Palazzo del Ghiaccio di Milano. E’ la data di nascita ufficiale del teenager italiano, urlante e scatenato come il suo omologo in ogni parte del mondo. Giorgio Gaberscik, in arte Gaber, non ha ancora diciannove anni>>.
Frequenta i palchi di Sanremo e Canzonissima. Vende 45 e 33 giri. Spopola nelle hit parade. Scrive canzonette come Goganga, Torpedo blu, Barbera e champagne. Si sposa con Ombretta Colli. L’anno della svolta è il 1970. Il Piccolo Teatro di Milano presenta Giorgio Gaber
Il signor G. Così recita la locandina. Nasce il nuovo Gaber.
<<Il signor G – dove quella G voleva anche dire “gente” – era un signore un po’ anonimo […] in bilico tra un desiderio di reale cambiamento e un inserimento nella società>>.
Nel 1971 incide l’album I borghesi, una spietata critica all’ipocrisia di quella classe. Diventa uno dei pionieri del cosiddetto “teatro canzone”. Un genere ibrido che combina musica, testi e performance teatrale.
Nel 1978 è la volta di Polli d’allevamento. Gaber cambia registro.
Ricostruisce così questo snodo: <<Proprio in quel momento si cominciavano a staccarsi dai gruppi extraparlamentari frange le quali affermavano che forse anche i fatti privati c’entravano con quello che ci accadeva intorno. Anch’io ribadivo che non c’era differenza tra pubblico e privato, tra politico e personale, tra contenuto e forma>>.
Si consuma una frattura tra Gaber, icona della Contestazione e il movimento nato nel ’77. Volano accuse di qualunquismo. Anch’io – diciottenne – al termine di un suo spettacolo a Roma uscii deluso, se non incazzato, per quanto avevo visto e sentito.
A distanza di anni, non aveva poi così torto. Il personale era ed è anche politico. Un paio di anni prima nel 1976 si era sciolta, non solo per questo, Lotta Continua incalzata dal Movimento femminista.
Al di là delle considerazioni personali, Gaber resta uno dei personaggi più influenti dello spettacolo e della musica italiana del secondo dopoguerra.
<<Un’idea, un concetto, un’idea/ finché resta un’idea è soltanto un’astrazione/ se potessi mangiare un’idea/ avrei fatto la mia rivoluzione>>.