DI MARIO PIAZZA
Nakba, è una parola araba che significa “catastrofe”, fino ad oggi usata per indicare l’esodo, l’espulsione o meglio la deportazione dei 700.000 palestinesi che vivevano dove al termine di una guerra civile (1947-1948) l’Inghilterra, sponsor e fornitore di armi della minoranza ebraica, decise dovesse nascere lo stato di Israele.
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Dopo 75 anni punteggiati da guerre, atti di terrorismo, violazioni dei diritti umani e sopraffazione, quell’oscena violenza si sta ripetendo contro gli abitanti di Gaza, due milioni e mezzo di persone che potranno uscirne soltanto in due modi: morire o fuggire. La stessa scelta che Hitler diede agli Ebrei in Europa durante il nazismo.
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In questa seconda Nakba non sono più soltanto i paesi arabi confinanti ad opporsi al genocidio programmato, alla distruzione e all’esproprio. A denunciare un simile scempio ci sono nazioni che con l’Islam non c’entrano affatto con il Sud Africa in prima fila seguito da Brasile, Colombia, Venezuela, Cile e altre si aggiungeranno.
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Non so come e quando questo orrore finirà ma quelle 84 pagine di prove che il Sud Africa ha portato davanti alla Corte di Giustizia dell’Aja, quale che sarà la sentenza, sono un sollievo per il mio spirito e mi fa bene sapere che da qualche parte nel mondo ci sono governi e popoli che ancora antepongono la propria dignità agli interessi finanziari e alla servitù politica.
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