DI ANTONELLO TOMANELLI
A leggere le considerazioni espresse nell’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia adìta dal Sud Africa sul presunto crimine di genocidio che Israele starebbe compiendo nella Striscia di Gaza, pare che sul campo non ci saranno cambiamenti. La Corte ha respinto la principale delle misure cautelari richieste dal Sud Africa, ossia la cessazione di ogni operazione militare dell’IDF all’interno della Striscia.
Ha però intimato a Israele di prevenire qualsiasi atto che possa rivelarsi una violazione della Convenzione sul Genocidio.
Un’intimazione persino banale. È un po’ come se in un processo per omicidio un tribunale non condannasse l’imputato, ma si limitasse ad ordinargli per il futuro di non uccidere.
Ma da dove deriva questo tentennamento della CIG, che in sostanza si risolve in un nulla di fatto?
In effetti il Sud Africa non ha fornito prove concrete dell’esistenza di un genocidio. Ha soltanto rappresentato la gravissima situazione umanitaria in cui versano le zone interessate dalle operazioni belliche israeliane. Ma non ha dimostrato che l’azione dell’IDF sarebbe finalizzata non a piegare la resistenza di Hamas, ma a sterminare anche solo una parte del popolo palestinese, disinteressandosi completamente del risultato militare. Che è ciò che tecnicamente caratterizza il crimine di genocidio, che ha come bersaglio unicamente un popolo o una parte di esso.
Ciò che ha indotto la CIG a non archiviare la posizione di Israele e a proseguire il processo, pur non emanando alcuna misura cautelare, sono state alcune dichiarazioni rese da personalità di spicco della politica israeliana, che l’UNRWA, l’Agenzia ONU per il soccorso dei profughi palestinesi, ha ricondotto ad un «linguaggio disumanizzante».
All’indomani del pogrom del 7 ottobre, Yioav Gallant, ministro della Difesa israeliano, aveva arringato le truppe posizionate al confine con la Striscia di Gaza dichiarando: «Stiamo combattendo animali umani. Gaza non tornerà come prima. Elimineremo tutto».
Pochi giorni dopo, Il 13 ottobre 2023 Israel Katz, ministro dell’Energia e delle Infrastrutture israeliano, nell’intimare alla popolazione di lasciare Gaza, aveva scritto su Twitter: «Non riceveranno una goccia d’acqua o una singola batteria finché non lasceranno il mondo».
Ma la dichiarazione più grave è quella attribuita al presidente di Israele Isaac Herzog. Riferendosi a Gaza, aveva affermato: «Là fuori c’è un’intera nazione che è responsabile. Non è vero il discorso sui civili non consapevoli e non coinvolti. Avrebbero potuto ribellarsi. Avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio che ha preso il controllo di Gaza».
Quando la colpa di deprecabili azioni come quella di Hamas del 7 ottobre viene imputata non a chi le ha effettivamente commesse, ma a un intero popolo, a un’intera nazione, in presenza di una massiccia operazione militare si accende una spia che potrebbe svelare un intento genocidiario. Questo è il motivo per cui la Corte, pur non ritenendo di dover applicare misure cautelari come il cessate il fuoco, proprio per la mancanza di prove di un genocidio in atto, ha comunque lanciato un monito a Israele, che d’ora in poi, almeno a prestar fede alle considerazioni della Corte, sarà una sorta di vigilato speciale.