DI ALFREDO FACCHINI
Per Julian Assange sono ore drammatiche.
È in attesa di sapere se sarà estradato in Usa. Dove lo aspettano fino a 175 anni di carcere duro per aver diffuso notizie vere, su crimini di guerra, mai smentite.
Il verdetto negli USA è già scritto. Le accuse si fondano su una legge del 1917 (Espionage Act), ripristinata dopo la condanna a morte dei coniugi Rosenberg in epoca di maccartismo.
È una vendetta.
Il 20-21 febbraio, l ’Alta Corte britannica si pronuncerà sul suo destino.
La relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, Alice Jill Edwards, ha esortato il Regno Unito a fermare l’estradizione: è a rischio la sua salute mentale.
Il fondatore di WikiLeaks è rinchiuso nella prigione di Belmarsh, la Baia di Guantanamo del Regno Unito.
È segregato da cinque anni in un carcere di massima sicurezza a Londra, in una cella due metri per tre, trattato al pari di una spia in tempo di guerra.
Siamo di fronte a un mostruoso caso di censura, ad un attacco al diritto dei popoli di conoscere le azioni dei loro governanti.
Julian Assange è un prigioniero politico per una ragione e quella ragione è costringere tutti gli altri giornalisti a obbedire.
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(dipinto di Barbara Ceccatelli)