DI LEONARDO CECCHI
Ha fatto scalpore il fatto che ieri sera la Santanché abbia pubblicato un video dove polemizzava contro le mostruose file per i taxi a Roma, stazione Termini, lamentandosene (e avendo ragione, va detto).
Ora, lo spunto è interessante per una riflessione che porto avanti da tempo e che casca proprio a pennello.
Santanché rappresenta interessi corporativi feroci, quelli dei balneari. Una categoria che ha visto alcuni suoi rappresentati arrivare a rovistare negli zainetti di bagnanti per accertarsi che non si fossero portati panini da casa, evitando quindi spendere nei loro locali.
Eppure la stessa persona lamenta i disservizi provocati da un’altra corporazione, quella dei tassisti, altrettanto feroce.
Cosa ci dice questo?
Che un sistema corporativo non conviene a nessuno. Quello che gli strenui difensori di questi poteri economici vecchi e pesanti non capiscono è che ciò che una corporazione guadagna grazie a privilegi dell’essere, appunto, corporazione, lì perde pagandoli (letteralmente) alla corporazione accanto. È un trenino delle fregature reciproche.
Pensateci: il tassista che ti fa strapagare la corsa, incassa quella che io chiamo “tassa-marchetta”, un’imposta corporativa aggiunta della corporazione (tipo l’iva, ma la paghi alla categoria). Il giorno dopo il nostro tassista va dal notaio perché ha acquistato casa e indovinate un po’? L’ammontare delle tasse-marchette incassate negli ultimi mesi lo versa per pagare la tassa-marchetta della corporazione notarile. E così in un giro infinito tra le mille categorie del Paese.
Soldi che girano senza sottostante di reale valore. Soldi che potrebbero andare in sviluppo, consumo, lavoro, e che invece alimentano un trenino di fregature reciproche e costanti.
È barbaro, è – scusate – demenziale.
È una palla al piede per tutta Italia.