DI MARIO PIAZZA
La contemporaneità della morte di Navalny e del processo ad Assange almeno una cosa dovrebbe averla chiarita: al Potere non bisogna rompere i coglioni, ad oriente come a occidente, in democrazia come in dittatura.
Le differenze di trattamento sono puramente formali e quando si supera il limite anche quelle scompaiono, perché solo propagandisti di professione o menti irrimediabilmente ottuse possono trovare differenze tra il carcere di Guantanamo dove centinaia di musulmani sono stati incarcerati senza processo e poi torturati per anni e quello di Kharp dove è morto Navalny.
Eh, ma quello di Navalny è stato un omicidio politico. Certo che lo è stato, ma non è affatto scontato che ad ucciderlo sia stato il potere rappresentato da Putin e non qualche altro meno sfruttabile e visibile, un potere che gioca in un campionato senza pubblico come quelli che hanno ucciso John Kennedy, o Gandhi, o Rabin, o Arafat, o Aldo Moro.
Non saranno certo “i medici e la magistratura” russi a fornirci la verità come ha detto un nostro politico con l’acume di un tostapane, come non ce l’hanno fornita nessuna delle 100 commissioni e dei 1000 processi messi in piedi nel mondo libero ogni volta che il Potere ha tolto da mezzo “una rottura di coglioni”.
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