IL FUTURO POLITICO DI ISRAELE IN AMERICA ASSIEME ALLA PRESIDENZA BIDEN

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

Il governo israeliano rischia una clamorosa spaccatura, causata, più o meno indirettamente, dal disperato attivismo diplomatico della Casa Bianca. Netanyahu è infuriato. Si sente scavalcato dalla visita in America di Benny Gantz, il generale che nel governo d’emergenza israeliano fa parte del triumvirato di supervisione militare, assieme al Ministro Yoav Gallant e all’ex capo di Stato maggiore, Gadi Eisenkot.

Governo Netanyahu verso la rottura

Secondo la stampa israeliana (Haaretz), «il viaggio ha creato tensioni tra Gantz e il primo ministro, che si era rifiutato di autorizzarlo. Netanyahu ha dato istruzioni a Mike Herzog, ambasciatore a Washington, di non assistere Gantz durante la visita e di non partecipare agli incontri». Se non siamo ancora ai ferri corti, dunque, tra i due alti esponenti politici dello Stato ebraico, ci siamo però vicini.

L’America ora litiga alle spalle

Il viaggio di Gantz a Washington, sarebbe stato organizzato dall’Amministrazione Biden, che cerca una sponda più ragionevole e più votata al dialogo, all’interno dell’esecutivo di Tel Aviv, per risolvere la crisi di Gaza. Schiacciato tra l’onda montante del dissenso, presente anche nel suo stesso partito, e le cifre sempre più catastrofiche dei sondaggi elettorali, il Presidente degli Stati Uniti deve inventarsi qualcosa, per uscire dall’angolo in cui si è cacciato.

Netanyahu modello Trump

«La visita di Gantz – scrive Haaretz – avviene nel contesto delle relazioni tese tra Netanyahu e Biden, per la linea dura portata avanti in Israele dal Ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, e dal Ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, riguardo al Ramadan e all’aumento degli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza». Ieri, alla Casa Bianca, Gantz non ha incontrato Biden, probabilmente per non irritare oltremisura Netanyahu. Ma, in compenso, ha visto la Vicepresidente Kamala Harris, il Segretario di Stato Antony Blinken e il Consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan.

Contrapposte intransigenze

Tutti abboccamenti di alto livello, che fanno capire anche l’ansia, da parte americana, di ammorbidire, in qualche modo, quello che finora è apparso come un atteggiamento intransigente degli israeliani. Tuttavia, proprio la visita di Gantz a Washington potrebbe rappresentare uno spartiacque nelle relazioni tra Biden e Netanyahu. Funzionari israeliani hanno voluto rimarcare che gli incontri di Gantz (ed eventuali accordi abbozzati), non hanno alcun valore sostanziale. È questo il segnale che Netanyahu ha ripetutamente voluto mandare alle sue controparti di Washington. E, principalmente, al Presidente Biden.

Tensioni personali e insulti

Certo, a sentire le parole recentemente divulgate da un report della NBC, bisogna credere che la pazienza della Casa Bianca, nei confronti del premier israeliano, sia ormai agli sgoccioli. Biden ha definito il comportamento di Netanyahu inaccettabile e lo ha personalmente ricoperto di insulti irripetibili. Ora, farà ribadire a Kamala Harris, parlando con Gantz, ciò che la Vicepresidente ha già detto, l’altro giorno, in Alabama: «La Harris – scrive il New York Times – ha sostenuto la richiesta di Biden per un cessate il fuoco di sei settimane, che consentirebbe il rilascio degli ostaggi e l’afflusso degli aiuti a Gaza».

Cessate il fuoco e ostaggi

Un duro rimprovero a Israele, per la catastrofe umanitaria nell’enclave, affermando che «Tel Aviv deve fare di più per consentire il flusso di aiuti nella regione, aprendo nuovi valichi di frontiera e astenendosi dall’imporre restrizioni inutili sulla loro consegna». Il visibile cambiamento di tono, nell’approccio dell’Amministrazione americana, testimonia l’urgenza di trovare una via d’uscita alla crisi di Gaza, che ancora appare inesistente. Inoltre, la catastrofe umanitaria incombente, impone misure immediate e rigide.

Biden-Netanyahu con le spalle al voto

Naturalmente, sullo sfondo si agita il voto per la Casa Bianca di novembre. E qui, numeri alla mano, va fatta un’ultima riflessione. Oggi è il famoso ‘SuperTuesday’ delle Primarie. Si vota in 15 Stati e, da domani, anche se non ancora matematicamente, ma di fatto, Donald Trump sarà lo sfidante quasi quasi ufficiale del Partito repubblicano. Stritolata la resistenza di Nikki Haley, l’ex Presidente, viaggia col vento in poppa dei sondaggi. A confortarlo (per ora) anche l’ultima pronuncia della Corte Suprema sulla sua candidabilità.

L’isolamento di Israele sugli Usa

Insomma, se Biden se la vorrà giocare deve cambiare politica verso Israele o gli finirà come in Michigan dove, solo alle Primarie, 100 mila Democratici gli hanno votato contro. Le minoranze etniche solidali con i palestinesi lasciati al massacro. Ed è accaduto in uno Stato, cioè, dove si vince (o si perde) per un pugno di voti. Ma forse tutto questo alla Casa Bianca, finalmente, l’hanno capito.

Il New York Times su Kamala Harris che definisce ciò che accade a Gaza ‘devastante’, finisce la cronaca ricordando che la vice presidente parlava al ponte di Selma, «dove i neri americani furono picchiati dalle forze dell’ordine bianche nel 1965, dopo avere marciato per il loro diritto di voto».

.

Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

5 Marzo 2024