“CESSATE IL FUOCO SUBITO” DICE IL MONDO A ISRAELE, AMERICA COMPRESA

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

«Netanyahu ha messo Israele in rotta di collisione con l’America. Questo voto ne è il risultato disastroso».

Titolo commento di Haaretz e sintesi di quello che è successo ieri, al Consiglio di Sicurezza. Risoluzione Onu «per un cessate il fuoco immediato a Gaza e il rilascio di tutti gli ostaggi», passata col consenso indiretto (senza il suo veto) degli Stati Uniti. Dopo 32.300 palestinesi uccisi a Gaza e tre veti, gli Stati uniti si astengono. Decisione storica e tempesta diplomatica in corso.

Il troppo di Netanyahu isola Israele nel mondo

Tecnicamente, la decisione Onu pone il governo di Tel Aviv all’angolo, perché il documento è vincolante e se Israele non lo rispettasse potrebbe essere, in linea teorica, oggetto di sanzioni. Anche se l’ambasciatrice Usa, Linda Thomas Greenfield, forse nel tentativo di limitare i danni ed esprimendo un suo personalissimo parere, ha ipotizzato «che la decisione non sia vincolante». Certo, dopo questa pronuncia, la posizione internazionale di Israele si fa più complicata.

La furia incontinente e le alternative

Netanyahu, all’esito del voto, ha chiesto alla delegazione che si doveva recare a Washington, di starsene a casa. Negli States, però, c’era già il Ministro della Difesa, Yoav Gallant, per una serie di incontri ai massimi livelli, tra Dipartimento di Stato e Pentagono. E Gallant è rimasto. Tra azioni e reazioni simbolo, gli Usa hanno Gallant come interlocutore, cestinando le ritorsioni del premier. Sullivan, per rincarare la dose, ha dichiarato di avere avuto con Gallant «una discussione molto costruttiva su come sconfiggere Hamas». Sostegno alla difesa di Israele, ma non più con Netanyahu, il messaggio.

Israele lacerata da troppa vendetta

La narrativa dice che fra Gallant e il suo premier i rapporti, molte volte, sono stati tempestosi. E lo sfregio del ritiro della delegazione israeliana accentua solo le spaccature con una Casa Bianca sempre più irritata per l’intransigenza israeliana e la crescita, inarrestabile, di vittime civili palestinesi. D’altro canto, secondo diversi analisti, ‘il tira e molla’ tra americani e israeliani dura già da alcune settimane. A Washington, sono convinti che una pesante offensiva su Rafah peggiorerebbe solo le cose: non darebbe grossi vantaggi dal punto di vista militare e, soprattutto, scatenerebbe una catastrofe umanitaria difficilmente arginabile.

Scelte e condotte militari contestate

A quanto pare, voci di corridoio parlano di precise contestazioni americane alle strategie seguite, sul campo di battaglia di Gaza, dall’IDF. Che Hamas sia un nemico sfuggente e da combattere in maniera ‘mirata’, fanno notare a Washington, è testimoniato da ciò che sta succedendo in questi ultimi giorni. I feroci combattimenti nei pressi dell’ospedale al-Shifa a nord e Nasser, a sud, in aree che si credevano ‘bonificate’, dicono invece il contrario. Cioè, che sparare nel mucchio causa solo più vittime civili innocenti, ma non è vantaggioso dal punto di vista degli obiettivi militari da raggiungere. Perché, il nemico riemerge sempre. Quindi, qualcosa va cambiata.

“Ma è proprio quello il nodo più scottante del problema: gli israeliani hanno una certa refrattarietà a farsi ‘consigliare’. Anche dagli americani che pure pagano pronta cassa in dollari e soprattutto bombe”.

L’attacco con massacro a Rafah

Intanto, nelle segrete stanze della diplomazia che conta, orasi discute solo di Rafah. Netanyahu aveva preparato una delegazione speciale, con il suo Consigliere per la Sicurezza nazionale, Tzach Hanegbi, e il Ministro per gli Affari Strategici, Ron Dermer, pronti a volare in America per illustrare tempi, metodi e ‘vie di fuga’ dell’attacco che loro insistevano di voler fare. Ora, la Risoluzione dell’Onu azzera tutto. Netanyahu, che qualcosa intuiva, insiste con la linea dura: ‘non vi azzardate a fare passare una delibera sul cessate il fuoco al Consiglio di Sicurezza, perché noi l’attacco su Rafah lo faremo lo stesso’. Questo il succo di una serie di messaggi, diretti o di traverso, fatti avere al Presidente degli Stati Uniti.

Somma di errori incrociati

Ora, però, il muro contro muro tra Netanyahu e Biden fa venire a galla, oltre a quella principale, altre crepe, questa interne a Israele. In un certo senso, ce lo chiarisce John Kirby, portavoce della Casa Bianca: «Il Ministro della Difesa Gallant – dice –  è in città… avremo ampie possibilità di parlare con lui… di cosa sta succedendo con i loro piani per Rafah e all’interno delle trattative. Siamo concentrati su come portare avanti le cose».

“Con Gallant, è ovvio. Per cui, detto in modo elegante, la delegazione di Netanyahu può pure restarsene in Israele. Gli Stati Uniti, per ora, preferiscono parlare di Rafah col Ministro della Difesa Gallant. Un altro segnale che Bibi Netanyahu comincia a essere troppo ingombrante, anche per la Casa Bianca”.

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Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

26 Marzo 2024