DI GIOACCHINO MUSUMECI
Due notizie sul tragico scenario israeliano mi convincono che Benjamin Netanyahu sta “impazzendo”.
E sono sorpreso- si fa per dire – che la nostra premier non decida di prendere le distanze dai deliri del primo ministro Israeliano. Certo occorre coraggio per prendere iniziative controcorrente. Difficilmente la Meloni, ridotta e un burattino, potrebbe sopportare la pressione di frange della comunità ebraica il cui orizzonte è limitato all’attentato del 7 ottobre e nulla più.
Il parlamento israeliano ha legiferato affinché Al Jazeera, prestigiosa rete televisiva, sia chiusa in quanto pericolosa per la sicurezza di Israele.
La legge, approvata con un voto di 71-10 alla Knesset, per conto mio svergogna la democrazia, derubrica Israele a regime totalitario e dà al primo ministro e al ministro delle comunicazioni l’autorità di ordinare la chiusura delle reti straniere che operano in Israele e di confiscare le loro apparecchiature se si ritiene che pongano “danno alla sicurezza dello Stato”.
Il chiaro obiettivo di Netanyahu, è inibire qualsiasi fonte di informazione sgradita, ovvero chi offra notizie che descrivono le ormai evidenti strategie del governo, il quale indifferente ai richiami delle Nazioni Unite intesta sprezzantemente antisemitismo a coloro che sollevino dubbi sul metodo con cui Israele negli anni ha gestito i rapporti col popolo palestinese.
Pertanto è facilmente bollato chiunque evidenzi tattiche controverse e finalizzate a usare ogni mezzo idoneo non solo a “combattere il terrorismo” con altrettanto terrore, ma a eliminare o scacciare definitivamente il popolo palestinese dai territori occupati oltre distruggere strutture abitative e infrastrutture essenziali nella striscia di Gaza affinché i palestinesi siano costretti ad scappare per poi non poter tornare.
Perfino la portavoce della casa Bianca Bianca Karine Jean-Pierre ha detto lunedì che una mossa israeliana per chiudere Al Jazeera sarebbe “preoccupante”.
Sfortunatamente il moralismo bifronte di Washington non aiuta a mitigare l’arroganza del governo israeliano il cui esercito, come si legge in queste ore, in un raid ha attaccato un convoglio umanitario provocando la morte di sette operatori della ONG spagnola World Central Kitchen.
Il convoglio è stato colpito mentre lasciava il magazzino di Deir al-Balah, dove il team aveva scaricato più di 100 tonnellate di aiuti alimentari umanitari portati a Gaza sulla “rotta marittima”. Dopo la tragedia Tel Aviv ha annunciato un indagine approfondita. Coma da prassi l’esito dichiarerà, senza prove, che l’esercito israeliano non c’entra niente.
Errato dal mio punto di vista considerare questi eventi casuali. Sembrano innestarsi in una strategia definita. Da una parte l’informazione è pilotata a esclusivo vantaggio di Tel Aviv; e ciò si ottiene con la scomparsa di giornalisti o con pressioni politiche come nel caso di Al Jazeera. Contestualmente incidenti ai danni di convogli umanitari contribuiscono a inibire interventi umanitari e rendere la striscia di Gaza un feudo totalmente controllato da Israele. Ciò comprende perfino dosare col contagocce aiuti umanitari destinati a un popolo sottoposto a ogni genere di bruttura in quanto sgradito da sempre e quindi generalmente colpevole della tragedia del 7 ottobre 2023.
Mentre nell’indifferenza diffusa fioche voci americane si sollevano per ovvie questioni di protocollo, sembra che l’amministrazione Biden sia vicina ad approvare la vendita di ben 50 caccia F-15 di fabbricazione americana a Israele, in un accordo che dovrebbe valere più di 18 miliardi di dollari.
Come affermato nel post precedente “pecunia non olet”.