DI PIERO ORTECA
Dalla redazione di REMOCONTRO –
L’attacco Israeliano al consolato Iraniano di Damasco, con i suoi morti, dovrebbe rimanere impunito per assoluzione americana? Varie fonti sostengono che un attacco dell’Iran contro Israele potrebbe essere imminente. Ne ha parlato venerdì sera anche il presidente statunitense Joe Biden, che in una conferenza stampa ha detto di aspettarsi che un attacco iraniano possa arrivare a breve. Alla domanda di un giornalista su quale sia il suo messaggio all’Iran in questo momento, il presidente ha detto: «Non fatelo». Incerto il tono tra perorazione e minaccia.
Le rivelazioni “esclusive” note a tutti
Biden torna ad ammonire l’Iran come se fosse ancora una volta Tehran ad avere torto. «Non farlo», dice, riferendosi alla risposta dovuta al bombardamento del Consolato di Damasco. E aggiunge che gli Stati Uniti difenderanno il suo alleato: a torto o a ragione. Soprattutto a torto. Il Wall Street Journal, propone come ‘exclusive’ che l’Iran ha intenzione di colpire Israele molto presto, e che non è una gran scoperta. Sola novità – sempre e solo tra le ipotesi -, che gli ayatollah potrebbero scegliere un bersaglio posto dentro il territorio dello Stato ebraico. E siamo ancora all’ovvio. Una decisione che certo cambierebbe i termini della rappresaglia, dando di sicuro il via a un’escalation israeliana dagli esiti imprevedibili.
Ambasciata israeliana o bersaglio in casa?
Netanyahu, a questo proposito, parlando giovedì in una base aerea nel suo Paese, ha detto che «a chi ci farà del male, risponderemo facendogli del male», e anche qui, dopo Gaza, siamo quasi all’ovvietà. Ieri, John Kirby, il portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale Usa e portatore di altrettante ovvietà: «Non posso parlare delle dimensioni, della scala e della portata di come potrebbe essere quest’attacco – ha sostenuto – ma la minaccia è praticabile e stiamo osservando la situazione molto da vicino». Resta il fatto che la tensione fatta anche di annunci a sproposito, sale.
Valutazioni di intelligence intelligenti?
La crescita esponenziale della tensione, nel Golfo Persico, segue le valutazioni fatte nel corso di questa settimana dall’Intelligence degli Stati Uniti. Pare che Alì Khamenei, la Guida suprema degli ayatollah, sia stato messo sotto pressione da parte dell’ala ‘intransigente’ del regime. Si esige una vendetta adeguata. Sulle possibilità di ‘risposta’ iraniana sul tappeto, ancora il Wall Street Journal con continua con i suoi scenari d’apocalisse: un attacco fatto da una ‘nuvola di droni’, o da lanci ripetuti di missili da crociera. L’Iran possiede anche un centinaio di vettori balistici, difficili da intercettare, ognuno dei quali può imbarcare una testata di guerra da una tonnellata di esplosivo ad alto potenziale. Come quelle Usa che Israele ha ripetutamente sganciato su Gaza.
Prevedere tutto non sapendo niente
In teoria, a essere presi di mira, sostiene ancora il WSJ, potrebbero essere l’aeroporto di Haifa, centrali elettriche, impianti di desalinizzazione e, soprattutto, il Centro nucleare di Dimona. Questo il ‘range’ di opzioni che Khamenei starebbe soppesando, non nascondendosi quelli che sono i rischi di una scelta che gli si potrebbe ritorcere contro. E forse, non tutti a Tehran la pensano allo stesso modo, specie all’interno dell’esercito, senz’altro meno ideologizzato delle Guardie rivoluzionarie. Quello dell’attacco al Consolato di Damasco, potrebbe essere un’altra delle trappole di Netanyahu, per allargare il conflitto all’Iran, coinvolgere gli Stati Uniti e ottenere, finalmente, via libera, per la distruzione degli impianti nucleari di Teheran. Il vero incubo, il chiodo fisso di tutte le strategie di sicurezza nazionale israeliane degli ultimi vent’anni.
Gioco sporco a tutto campo
Uno scontro frontale con gli ayatollah potrebbe dare carta bianca all’IDF per regolare, una volta per tutte, anche i conti con Hezbollah in Libano. Certo, si tratta di un quadro strategico decisamente azzardato, che va soppesato con attenzione prima di imbarcarsi in avventure senza ritorno. Per questo, in Israele, in questi giorni, è arrivato il capo del CENTCOM Usa, il Comando centrale, generale Erik Kurilla. Si tratta dell’ufficiale che coordina tutte le operazioni militari delle forze armate statunitensi, nel Medio Oriente. Un grosso calibro come Kurilla si muove solo se si prevede (o si teme) di giocare una partita grossa. Inizialmente, avrebbe dovuto discutere della crisi umanitaria a Gaza con lo Stato maggiore di Tel Aviv. Ma poi è stato il Ministro della Difesa Gallant, a spiegare che i colloqui hanno riguardato l’eventuale contrattacco degli ayatollah
Diplomazia d’azzardo sull’orlo del baratro
Nel frattempo, il Segretario di Stato, Antony Blinken, continua la sua disperata opera di tessitura diplomatica, nel tentativo di evitare un’escalation della crisi. Alla Casa Bianca sanno che una nuova guerra, che coinvolga gli Stati Uniti nel Golfo Persico, sarebbe il colpo di grazia finale per le ambizioni di Biden di riottenere il mandato presidenziale. Blinken sta contattando tutti, dalla Cina, alla Turchia, fino ai Paesi arabi moderati, affinché facciano da mediatori con Teheran.
“Gli americani sono terrorizzati da un allargamento della crisi, che potrebbe voler dire blocchi navali (seri) nello Stretto di Hormuz e in quello di Bab-el-Mandeb, Tutto dipende dal fatto se in Iran vincerà la fazione degli ‘irriducibili’ o quella che potremmo definire della ‘strategia paziente’. Che punta a nuclearizzarsi, prima di poter fare la voce grossa. È una partita di scacchi. E i persiani giocano a scacchi da oltre mille anni”.
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Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di
13 Aprile 2024