DA REDAZIONE
Stefano Rizzuti dal giornale LA NOTIZIA –
Le audizioni sul Def evidenziano i rischi per i conti pubblici: a rischio anche gli aumenti in busta paga del taglio del cuneo fiscale.
Cerca di far trasparire tranquillità il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Dopo una giornata di audizioni che hanno smontato pezzo per pezzo il suo Def e hanno evidenziato la catastrofica situazione dell’economia italiana, per il responsabile dei conti sembra che nulla sia successo. E anche la revisione del deficit del 2023 al 7,4%, arrivata dall’Istat, “non incide sulle previsioni” del Documento di economia e finanza, secondo Giorgetti.
Tutto bene, insomma. Ma la realtà dice l’esatto opposto. A partire dalla revisione del deficit con il peso del Superbonus che, secondo l’Istat, si attesta al 7,4% nel 2023 e avvicina la procedura d’infrazione Ue. Con un deficit che è il “più alto in Europa”, spiega l’Eurostat. Un problema non di poco conto soprattutto in vista di una manovra che parte con l’handicap. E i soldi per confermare il taglio del cuneo fiscale, la riduzione dell’Irpef a tre aliquote e gli investimenti in sanità saranno difficili da trovare.
BUSTA PAGA A RISCHIO NEL 2025
Poi c’è la sfilza di audizioni sul Def che gelano il governo. Innanzitutto sul costo del Superbonus: le deroghe concesse dal governo Meloni per la Banca d’Italia hanno fatto lievitare i costi a 77 miliardi solo sul 2023, cinque volte oltre le stime. Conseguenza? Sempre meno soldi per altre misure. Lo dice anche Nicoletti Altimari, capo dipartimento Economia e Statistica di via Nazionale, avvertendo sui rischi di una conferma del taglio del cuneo fiscale: “Un’ulteriore proroga di natura temporanea degli sgravi contributivi accrescerebbe l’incertezza sull’evoluzione futura dei conti pubblici”.
Prorogare l’aumento in busta paga sotto i 35mila di reddito porterebbe un punto in più di disavanzo nel triennio 2025-2027, lasciando così il valore “al di sopra del 3% in tutti gli anni”.
IL DEF SMONTATO PEZZO PER PEZZO
Ci sono poi gli avvertimenti dell’Ufficio parlamentare di bilancio, che segnala una carenza di informazioni sulle “politiche invariate, i bonus edilizi e il Pnrr”. Servirà un taglio del debito di 1,8 punti di Pil per ogni anno a partire dal 2028 per raggiungere i livelli del pre-pandemia, intorno al 134%. La Corte dei Conti pensa a un futuro più ravvicinato: per ridurre il debito bisogna fare molto di più, anche sul piano di privatizzazioni inserito nel Def. Per il triennio 2025-2027 valgono solo 0,7 punti e non l’1% come previsto dalla Nadef.
E, per non farsi mancare nulla, sempre la Corte dei Conti avvisa sulla necessità di investire sulla sanità: gli attuali stanziamenti non sono ritenuti sufficienti per evitare il decadimento dei servizi offerti. E se Giorgetti per caso spera in una crescita al di sopra delle attese nel 2024, ci pensa Bankitalia a spazzare via le sue ambizioni: la crescita è “rimasta modesta nei primi mesi dell’anno” e per quest’anno l’attesa è sempre di un +0,6% e non dell’1% previsto dal Def.
Ma per Giorgetti poco importa, la preoccupazione è minima: l’aggiustamento dei conti pubblici “è pienamente alla nostra portata e la riduzione del rapporto tra il debito pubblico e il Pil nel medio periodo è un obiettivo fondamentale”. E così tutti gli allarmi, a partire da quelli dei sindacati che temono per il Def vuoto e per le decisioni rinviate a dopo le elezioni europee, vengono ignorate. Ma la freddezza di Giorgetti di fronte a questi numeri finirà, siamo certi, in autunno con la manovra.