ACCUSA DI CRIMINI DI GUERRA SUI VERTICI DI ISRAELE COSA PUO’ CAMBIARE PER GAZA?

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Dalla redazione di REMOCONTRO –

Se accadrà, quali le possibili conseguenze? In termini giuridici, qualsiasi paese dei 124 che è membro della Corte penale internazionale, avrebbe l’obbligo giuridico di dare esecuzione ai mandati di arresto. Per Natanyahu o Galant o chi altro, come per Putin. Possibilità di carcere, zero, ma isolamento internazionale ufficiale. E un effetto quasi immediato sui comportamenti israeliani nella Striscia di Gaza. Soprattutto per l’invasione via terra a Rafah.

“Stiamo indagando” da più di sei mesi

«Stiamo indagando con la massima urgenza», aveva dichiarato Karim Khan, il procuratore capo della Corte Penale Internazionale, avvocato britannico di genitori pakistani, quando a fine ottobre aveva visitato il valico di Rafah. Sei mesi di indagini dopo, il tribunale avrebbe pronta una serie di mandati di cattura. Prima i vertici sopravvissuti di Hamas, per l’attacco terroristico del 7 ottobre, ma anche -questa la bomba politica-, i vertici dello Stato di Israele per la risposta militare nella Striscia di Gaza, oltre le decimazioni vendicative di infausta memoria.

Principio di distinzione, precauzione e proporzionalità

Su Israele, la smodata reazione su Gaza e aver ostacolato l’arrivo di aiuti via terra. Era stato lo stesso Karim Khan ad avvertire: «Scuole, ospedali, chiese e moschee, abitazioni sono protette dal diritto e non devono essere bombardate». Più chiaro ancora: «Ho chiarito cosa dice la legge nei termini del principio di distinzione, precauzione e proporzionalità».  Finora Khan era stato criticato per non essersi attivato con rapidità a fronte di una situazione drammatica. Un evidente cambiamento di rotta a salvaguardare la stessa sopravvivenza della Cpi in termini di legittimità dell’istituzione.

Casa Bianca o sepolcro imbiancato?

In serata Washington ha provato a metterci una pezza. «Gli Stati Uniti non supportano l’indagine della Corte penale internazionale contro Israele», ha detto la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre. «Non crediamo abbia la giurisdizione». Tentativi di facciata, mentre le forzature reali avvengono di nascosto. Il Wall Street Journal -potente giornale dell’establishment politico-finanziario americano- già il 26 aprile pubblicava un editoriale non firmato in cui inviata Biden e il premier britannico Sunak a intervenire sulla Corte. ‘Pressioni illecite e fuoco di sbarramento’ come segnala Alessandro De Pascale sul Manifesto.

“L’azione giudiziaria -va precisato-, non ha nulla a che vedere con quella promossa davanti alla Corte internazionale di giustizia dal Sudafrica, che accusa Israele di «genocidio contro la popolazione palestinese di Gaza»”.

L’altalenante politica estera Usa

Contemporaneamente e in plateale contraddizione politica, Il Dipartimento di Stato americano ha stabilito che cinque unità militari israeliane hanno commesso «violazioni dei diritti umani» bel prima del 7 ottobre, nella Cisgiordania occupata. La notizia mentre Washington sta ancora decidendo se limitare l’assistenza militare a una delle unità, il battaglione Netzah Yehuda composto da soldati religiosi ultraortodossi, accusato in più occasioni di violenze a danni dei palestinesi. Un portavoce del Dipartimento di stato ha precisato che le altre quattro unità sotto osservazione starebbero ponendo rimedio al comportamento dei loro soldati.

Gaza, Rafah e le pressioni su Hamas per gli ostaggi

“Nell’esecutivo israeliano, sono ore di caos e di veti incrociati, avverte Michele Giorgio da Gerusalemme. Lo scontro più acceso è tra chi, come il leader del partito dell’Unione nazionale Benny Gantz, chiede l’intesa per il ritorno degli ostaggi, e l’estrema destra, che minaccia di far cadere il governo se sarà accolta la proposta egiziana. «Accettare quell’accordo sarebbe una resa umiliante», ha commentato il ministro ultranazionalista Smotrich”.

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Articolo a firma Rem, dalla redazione di

30 Aprile 2024