G7 di leader all’epilogo e un’Ucraina raccontata solo da Zelensky

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

Feroce il titolo del Guardian: «la Meloni in rosa consola un corteo di morti che camminano». Altro che G-7! Tutt’al più un ‘6+1’, che ha riunito ‘leader dimezzati’, di un Occidente in piena crisi d’identità. E il meeting pugliese ha visto, più di altre volte, l’agenda dei lavori dettata dalla necessità americana di risolvere sue priorità, che si chiamino Ucraina o Gaza o Cina.

Ancora “padroni del mondo”?

Capi di Stato e di governo (tra cui lo stesso Biden) in una fase di debolezza politica interna. E quello che dicono ora è una cosa, ma quello che faranno poi diventa un altro discorso. Oggi ci sarà Papa Francesco, a parlare di pace e ‘multilateralismo’. Ma sarà un copione scritto solo per dare al G-7 una dignità e un respiro che, ormai, il Gruppo ha perso da tempo. Dimostrando solo di essere un consorzio di mutui interessi economici. Un G-7 che, però, conserva l’arroganza di dettare le regole di condotta della civiltà occidentale al resto del pianeta. Utilizzando come braccio armato il Fondo monetario internazionale, la cui Presidente, Kristalina Georgieva, è in prima fila a Borgo Egnazia. Ma c’è uno scarto evidente, tra gli ambiziosi obiettivi propagandati e la realtà dei risultati che emergono dai lavori.

Subito l’Ucraina raccontata da Zelensky e Cina

Il primo ospite ‘eccellente’ del gruppo ad arrivare è stato Volodymir Zelensky. Non è un caso, perché si è immediatamente parlato di come dare più soldi all’Ucraina (oltre a inventare su come poter vincere quella guerra). A ruota, oggi si esaminerà il tema della ‘sicurezza economica e commerciale’. Che significa, fare in modo che i prodotti cinesi costino il doppio, non solo per difendere l’industria europea, ma soprattutto quella americana, che in alcuni settori ad alta tecnologia comincia a dare segni di insofferenza (a cinque mesi dal voto per la Casa Bianca). Parliamo di dazi doganali, area nella quale, in un certo senso, chi detta i tempi è soprattutto Washington.

La stampa internazionale

Sono i giornali internazionali, a indicare con chiarezza dove stia, effettivamente, il nocciolo duro di questo vertice. «I leader del G-7 stringono un accordo per un prestito di 50 miliardi di dollari all’Ucraina» titola a tutta pagina, d’apertura, il Financial Times. Stessa apertura per la britannica BBC, che parla di un piano (che era già noto in tutti i particolari) «per utilizzare i fondi russi congelati, a favore di Kiev». Più dettagliato il New York Times: «Il prestito sarà sottoscritto dagli Stati Uniti – sostiene il giornale – ma i funzionari americani affermano di aspettarsi che i loro alleati, compresi i membri dell’Unione Europea, forniscano una parte dei fondi». Non è solo una questione di soldi, è bene dirlo chiaramente. È invece una formale dichiarazione di guerra commerciale contro Mosca. Una scelta che comporta sicuramente delle ritorsioni (economiche) anche per le aziende occidentali che finora hanno operato in Russia. Inoltre, ad inasprire lo scontro con Putin, è arrivata anche la notizia che Usa e Ucraina firmeranno un ‘patto di sicurezza’ decennale. I termini non sono ancora noti, ma dovranno essere valutati con attenzione.

Rischi di guerra diretta Nato?

Ci sono elementi in questo accordo, che potrebbero fare scattare l’applicazione dell’articolo 5 Nato? Il Washington Post sostiene di no. Si tratta di un patto «che non prevede l’ingresso automatico in guerra degli Stati Uniti se l’Ucraina venisse attaccata». In definitiva, un’operazione di maquillage diplomatico. Il francese Le Monde snobba il meeting. Gli dedica solo un titolo, cercando di sottolineare che «ora Zelensky e i suoi alleati occidentali cercano sostegno tra i Paesi del sud del mondo». Riferendosi alla presenza, come invitati di riguardo, tra gli altri, di alcuni leader dei ‘Brics’ (Brasile e Sudafrica), dell’indiano Narendra Modi e di alcuni Paesi africani. Addirittura feroce l’analisi (collaterale) che fa il Guardian della situazione interna ucraina, anche alla luce dei nuovi finanziamenti approvati. Kate Connolly scrive che con riguardo alle procedure di ricostruzione, «alcuni partner stranieri avrebbero espresso dubbi sulla direzione e l’affidabilità dell’Amministrazione di Kiev, nonché preoccupazioni sulle tendenze centralizzatrici dell’Amministrazione di Zelensky».

Possiamo fidarci di Zelensky?

«Le preoccupazioni esistenti sono state portate al culmine, per il recente licenziamento di Oleksandr Kubrakov da Ministro delle Infrastrutture. E alle successive dimissioni di Mustafa Nayyem, che Kubrakov aveva assunto come capo dell’Agenzia ucraina per le infrastrutture e la riqualificazione». Il problema? È quello di sempre da quelle parti: «Nayyem è accusato da alcuni di essersi concentrato troppo sugli sforzi anticorruzione e di essere stato quindi troppo lento nel portare avanti la ripresa». Anche se il Guardian fa capire che forse ‘controllava’ troppo, e questo a qualcuno (?) dava fastidio. Kubrakov e Nayyem erano rispettati a livello internazionale e il loro allontanamento, secondo fonti diplomatiche, «è un disastro dal punto di vista dell’immagine dell’Ucraina». Alla fine, sciolti i due-tre nodi più scottanti o, almeno, quelli che interessavano di più all’America, Joe Biden ha salutato la compagnia. Così, dopo aver fatto la conferenza stampa clou (per lui) del vertice, cioè quella con Zelensky, se n’è andato a dormire.

“Ha ottenuto, dai suoi vacillanti alleati, una mezza cambiale in bianco sull’Ucraina e un paio di ‘impegni’ su Gaza, più simili a fioretti francescani che a seri tentativi politici di fermare, finalmente, il bagno di sangue in Palestina”.

Medio Oriente, Israele, Gaza

Dopo quasi 40 mila morti, il gruppo dei ‘grandi’ si dichiara solo «preoccupato». D’altro canto, il valore di questo G-7 è riassunto, efficacemente, dal titolo che gli dedica anche il New York Times: «I leader indeboliti dell’Occidente si riuniscono in Italia per discutere di un mondo indisciplinato». E, aggiungiamo noi, i suoi possibili risultati sono, nel migliore dei casi, minimi e guardati con scetticismo. Come sempre capita, quando si usano, sfacciatamente, due pesi e due misure.

«Gli europei sanno che Trump potrebbe annullare tutto ciò che Biden promette – conclude il NyT – e se firmano un accordo, c’è anche il rischio che non ottengano l’approvazione parlamentare». E che gli elettori li mandino poi definitivamente a casa. Come meriterebbero.

.

Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

14 Giugno 2024