DI GIANCARLO SELMI
Odo, nella mia mente, echeggiare la vecchia canzone, mentre leggo i resoconti giornalistici sull’incontro di ieri, a Roma, fra Grillo e Giuseppe Conte .
Il primo, padre padrone che, da tempo, cerca con tutti i mezzi di affondare la sua stessa creatura, il secondo, capo politico (dimezzato e spesso messo in discussione dal primo) che quella creatura cerca, in tutti i modi, di mantenere a galla.
Risulta per lo meno strano, infatti, che chi giudicò Draghi “il più grillino di tutti” e Cingolani la garanzia sufficiente per farci entrare in un governo pessimo; lo stesso che sbarrò la porta a Di Battista per agevolare le malefatte di quel Di Maio, possa oggi pontificare e dare ordini sulla necessità di riorganizzazione del Movimento 5 Stelle. E che possa dichiarare “che lui non darà il permesso” alla possibilità di deroghe al limite dei due mandati, neppure nel caso di approvazione della base. Deroghe riferite innanzitutto alle elezioni amministrative, comunali e regionali con le preferenze, quindi con la necessità di liste forti.
Eppure, ricordo a me stesso, non mi pare che abbia esitato a prendere per i fondelli la base, ponendo un quesito “strano” in occasione della entrata nel funesto governo del dragone. Causa madre della perdita di appeal elettorale poi registrata. E, molto probabilmente, di buona parte delle astensioni. Andrebbe ricordato, al garante di sé stesso, visto che sta per trattare il rinnovo di quello strano “contratto di affitto” a 300.000 euro l’anno, che la base è tutta, o quasi, con Giuseppe Conte e con la necessità, ormai non procrastinabile, di un’Assemblea Costituente con il compito di riorganizzazione, anche nell’ambito finanziario e, a cascata, della necessaria presenza fisica territoriale, oltre che di modifica di alcune regole che ci penalizzano.
Faccio presente, in maniera più che sommessa, che il limite ai mandati sarebbe una spinta moralizzatrice se fosse una legge e fossero costretti ad applicarlo tutti. Ma che, applicato solo da noi, finisce per danneggiare solo noi e avvantaggiare gli altri. A chi accusa Conte di voler creare una succursale del PD, rispondo che, nei temi, è il PD che ci imita. A partire dalla battaglia sul salario minimo che il PD è stato costretto a rilanciare. Ed è comunque un successo aver portato il partito che approvò il Jobs Act su queste posizioni.
Il nostro compito, scritto nel nostro DNA, è quello di migliorare la qualità della vita degli italiani, non percorrere la struggente strada delle questioni di lana caprina. E per farlo abbiamo bisogno di migliorare e rendere più ampie le nostre delegazioni nelle amministrazioni, a tutti i livelli. Per cercare di cambiarlo questo benedetto paese. E, in questo momento, lo può fare Conte, nessun altro. E, senza Conte, credetemi, il Movimento 5 Stelle avrebbe esalato già l’ultimo respiro.
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Giancarlo Selmi