Deja vu

DI MARIO PIAZZA

Mario Piazza

 

Già visto, ma non è quella sensazione arcana che proviamo a volte verso luoghi e situazioni che ci sembra di aver già vissuto.
Io c’ero davvero sul finire degli anni 60 nella mia Milano, quando ai primi segni di fermento giovanile su temi sociali e civili la destra neofascista provò a rispondere con pestaggi e spedizioni punitive.
Il fascismo, quello vero dei manganelli e dell’olio di ricino, era ancora un ricordo fresco e in ogni famiglia c’era qualcuno che aveva raccontato ai più giovani le vigliacche prodezze dei camerati, per questo non ci lasciammo prendere in contropiede e poi è finita come è finita.
Temo che il pestaggio di colle Oppio di tre giorni fa organizzato da Casapound, o il linciaggio di Chef Rubio, o l’assalto alla CGIL messo in atto da Forza Nuova tra non molto ci faranno sorridere, perché l’immobilismo e la tolleranza dei governi verso lo squadrismo organizzato o peggio il suo sfruttamento politico verranno vissuti, oggi come allora, come un’autorizzazione a difendersi da sé e a contrattaccare.
Perché ciò accada non servono le grandi masse studentesche del 68. Quando l’incolumità personale è in pericolo e una barba, una kefiah o una bandiera sono ragioni sufficienti per essere pestati nell’indifferenza delle autorità qualcuno che non ci sta si trova sempre e quel qualcuno, soverchiato dal numero degli squadristi, non potrà fare altro che mettersi in tasca un coltello o magari una pistola. E si sa, quando in scena entra una pistola prima o poi spara.
Per un governo autoritario di ispirazione neofascista sarà come il cacio sui maccheroni ma questo noi vecchi sessantottini lo abbiamo capito dopo, quando la frittata era fatta, quando i reumatismi hanno preso il posto del testosterone e le incipienti calvizie quello dei capelli lunghi.
A vent’anni nessun ragionamento avrebbe potuto impedirci di proteggere noi stessi e i nostri compagni e compagne.
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Mario Piazza