Il male della furia nazifascista non può e non deve più tornare

DI CLAUDIA SABA

 

Entrarono una mattina presto.
Con l’alba fatta di luci ancora accese dai lampioni della notte.
Lorenzo era già pronto per andare in campagna, Angela preparava la colazione e intanto metteva su il sugo per il pranzo.
Quando li spinsero fuori casa, dentro, non era rimasto più nulla.
La furia nazista aveva devastato ogni cosa con il disamore di chi non ha più cura della carne, del cuore e dell’anima.
Dispense violate insieme all’intimità.
Lorenzo venne preso e caricato a forza dai tedeschi sulle camionette sotto gli occhi compiaciuti dei fascisti che li avevano aiutati a cercare chi poi doveva essere deportato.  Angela fu invece rilasciata.
Aveva nascosto bene i suoi figli e così, era riuscita a metterli in salvo.

Insieme ad altri sfortunati come lui, Lorenzo affrontò quel lungo viaggio con il timore di non tornare mai più.
Germania … dove li attendeva la desolazione, la paura dell’ignoto, lo scempio della deportazione.
Nell’attesa della morte senza speranza.
Un “giudizio” quasi scontato.
Per tante anime disperate che sfilavano senza tornare più indietro.
Nel cortile di Auschwitz, la puzza invadeva le narici fino al cervello.
Ogni mattina erano sempre meno e Lorenzo sapeva che prima o poi, sarebbe toccato anche a lui.
Quando la paura assale, l’intelligenza acuisce e così di notte aveva preso l’abitudine a vivere, pensando a come uscirne.
Pensare, in quella situazione, voleva dire vivere, per non perdere neanche un momento di quella vita senza senso.
Una notte, pensò potesse essere quella buona.
“Adesso o mai più”, lo incitava la sua mente.
Era quella l’occasione giusta per fuggire, dopo tante notti insonni.
Un compagno, decise di condividere con lui, la sua stessa speranza.
La paura li attanagliava.
Con le gambe tremanti, lo sguardo fisso nel buio e le mani ferme sul cuore per trattenere i battiti veloci come tamburi.
Passi felpati, lenti, e poi finalmente la salvezza.
Il peggio era passato subito dopo il confine.
Il ritorno a piedi, a mille e mille chilometri da casa, sembrava essere ormai la parte migliore di quell’impresa eroica.
Trascorsero giorni, settimane e mesi a camminare con un paio di scarpe inventate per l’occasione.
Il cibo e l’acqua mancavano spesso, solo la speranza restava ferma al loro fianco.
Firenze, Roma, Latina, Formia e poi, Capua… finalmente a casa.
Angela lo aveva atteso per tanti mesi poi la speranza l’aveva abbandonata.
E quando quella notte se lo trovò davanti, quasi non riusciva a credere che lui ce l’avesse fatta, che quella fede d’amore, quella fiammella accesa fosse rimasta sempre viva dentro di lui e l’avesse riportato a casa.
Da lei e dai suoi tre bambini.
Angela era mia nonna.
Lorenzo, mio nonno.
Era lui a raccontarmi spesso questa storia durante le lunghe sere d’estate trascorse insieme.
Era la sua storia, la nostra storia.
Con cui mi esortava a non perdere mai la speranza anche quando la vita sembra essere contro.
Anche sotto la grandine, sotto l’uragano che può spazzare via tutto, un fiore può trovare spazio.
Speranza e fede, passione e forza.
Valori che si possono imparare e chi li possiede, qualunque cosa accada nella loro vita, ha già vinto.

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Claudia Saba 

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