Caro signor John Elkann…

DI LEONARDO CECCHI

LEONARDO CECCHI

 

Caro signor John Elkann, ho letto il suo lungo articolo sulla stampa dove lei fa ricorrere le parole “Italia” e “italiano” molteplici volte. Parla di “Fiat che porta il genio italiano nel mondo”, di un’azienda che ha “un forte legame con il Paese” e via discorrendo con altre belle sviolinate.
Non voglio scadere in un semplicismo e un populismo che non credo mi appartengano, ma vorrei farle presente che qui l’anello al naso non ce lo abbiamo.
La sua azienda è arrivata dove è adesso anche grazie – e a tratti soprattutto – ai soldi non solo dei consumatori italiani, ma anche dei contribuenti. Parliamo di 4 miliardi di euro solo dal 1990 al 2019 che lo Stato vi ha dato a vario titolo.
Dal 2021 al 2024, invece, ci sono la bellezza di 700 milioni che vi sono stati dati solo per la cassa integrazione (sempre Pantalone eh, noi tutti, i fessacchiotti che versano ancora le tasse) ossia per pagare lavoratrici e lavoratori che altrimenti sarebbero andati a casa. Questo dato in particolare testimonia che in Italia siamo tutti bravi a fare gli imprenditori con i soldi degli altri: qui il rischio d’impresa viene spostato sulle lavoratrici e i lavoratori, ricattando lo Stato e costringendolo a pagare per evitare macelleria sociale di madri e padri di famiglia.
Avete chiuso stabilimenti, delocalizzato, tolto investimenti. Lo sa lei e lo sappiamo noi. Il tutto con monumentali prese in giro, guarda caso fatte sempre quando subodoravate la possibilità di prendere altre risorse dalle casse rimpinguate dai contribuenti e poi puntualmente disattese.
A mio parere, dunque, non siete più un’azienda italiana. Siete un’azienda in debito con l’Italia, che è diverso. Se quel debito lo ripagherete mai io non posso saperlo. Però nel frattempo abbiate almeno la cortesia di non prendere in giro chi vi ha consentito di diventare ciò che siete oggi.
La decenza, la dignità del silenzio è preferibile a francamente pietosi tentativi di rivendervi un marchio che italiano non lo è più da decenni.
Date retta.
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Leonardo Cecchi