Sbarre

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Dall’inizio dell’anno nelle patrie galere si sono tolti la vita 54 detenuti.
In tutto il 2023 i suicidi erano stati 70.
Le prigioni sono solo luoghi di punizione e vendetta sociale. La percentuale di suicidi è 20 volte superiore a quella che si registra tra le persone libere.
Una delle piaghe croniche è il sovraffollamento.
Regina Coeli – con il 183% di presenze in più rispetto ai posti disponibili – è il carcere italiano con il maggior numero di suicidi: 15 dal gennaio 2020 alla fine del mese scorso.
Il 2022 è stato l’anno record, con 85 suicidi. Ma si continuano a registrare numeri impressionanti.
Nel 2023 il tasso è stato pari a 12 casi ogni 10 mila persone, ed è superiore tra le donne rispetto agli uomini (16 su 10 mila contro l’11,8 della popolazione maschile) e tra gli stranieri rispetto agli italiani (15 casi ogni 10 mila persone, rispetto al 10,5 degli italiani). (XX Rapporto di Antigone)
Molti di questi suicidi sono avvenuti tra persone ancora in attesa di giudizio.
La maggior parte delle morti sono avvenute per impiccamento (il rapporto è denominato “nodo alla gola”), seguite da asfissia da gas e scioperi della fame.
La vita se ne va con la testa tra le lenzuola annodate intorno alle sbarre.
Nella stragrande maggioranza dei casi, secondo i dati riportati da “Antigone”, che da anni si occupa di monitorare i diritti dei detenuti nelle 197 carceri italiane, si tratta di giovani tra i 20 e i 30 anni, sia con poca esperienza detentiva alle spalle, ma anche detenuti ormai prossimi all’uscita.
Le carceri sono dei bidoni di ferro e cemento dove sono rinchiusi 55.000 detenuti, rispetto ai 47 mila posti disponibili. Oltre 15.000 sono in attesa di condanna definitiva, 8.000 dei quali attendono ancora il giudizio di primo grado.
Che fare?
Per chi si occupa di carceri da sempre, il primo passo da compiere sarebbe quello del varo di una amnistia. L’ultima risale al 1990.
Per i più realisti sarebbe già un passo avanti introdurre delle misure per alleviare la detenzione.
L’ingresso in carcere andrebbe accompagnato prevedendo sezioni destinate all’accoglienza dei nuovi arrivi, reparti ad hoc e colloqui con psicologi e psichiatri.
Occorrono più attività, lavorative, formative e culturali, e tutte le possibilità di maggiore apertura ai rapporti con l’esterno. A partire dalle
telefonate che andrebbero liberalizzate, per consentire di trovare conforto nel rapporto con le persone care.
“Il carcere non è ancora la morte, benché non sia più la vita.”
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Alfredo Facchini