DI GIOACCHINO MUSUMECI
Dopo la riforma della giustizia, più che altro un manifesto di impunità per corrotti e corruttori nelle amministrazioni pubbliche oltre bavagli ai magistrati e insulti all’intelligenza dei cittadini per bene, è sconcertante la scelleratezza con cui il governo si impegna per convincere l’opinione pubblica che la magistratura compia un reato contro il governatore ligure Giovanni Toti a cui sono stati confermati i domiciliari.
La performance del collegio difensivo improvvisato da politici e giornalisti indignati si innesta perfettamente nella strategia di ribaltamento tanto cara al governo su cui un velo pietoso per ricoprirne nefandezze e arroganza non basta. La logica con cui il potere approccia la questione Toti è sfrontatamente quella della casta, la quale oltre parte dell’informazione zerbinata a funzionari pubblici che oggi contano sullo scudo della riforma Nordio, vuole controllare anche la magistratura ordinaria.
Il paradosso che ha riportato l’Italia ai fasti dell’impunità per imbroglioni matricolati e furbetti d’ogni sorta è nell’idea strumentale che chi combatte illeciti e favoritismi sia un magistrato rosso o più in generale ostacolo da divellere. L’impegno mediatico in questo senso è strabiliante.
Toti è coinvolto in prima persona in un inchiesta che attraverso intercettazioni telefoniche, invise al ministro della giustizia al punto da ostacolarle, stabilirebbe il rapporto istituzionalmente malato tra Toti e l’imprenditore Aldo Spinelli che in cambio di elargizioni in denaro avrebbe impegnato il governatore a “trovare soluzioni” rapide per la privatizzazione della spiaggia di Punta dell’ Olmo e “velocizzare la pratica di rinnovo del Terminal Rinfuse” alla società controllata da Spinelli. Insomma pratiche illecite consolidate su cui più di qualcuno vorrebbe intervenire con un colpo di spugna a cui far seguire tarallucci e vino.
Chiunque oltreconfine si sarebbe dimesso in attesa di chiarire la propria posizione apparentemente molto compromessa ma Toti si dichiara innocente e non ci pensa nemmeno.
A rendere ancor più grottesco il contesto giunge l’intervento del ministro Nordio che si esprime pur ammettendo di non aver capito nulla dell’ordinanza, che di per sé è già grave : “Siamo convinti che nessuna inchiesta deve condizionare legittimità di una carica politica determinata dalla volontà popolare”. Non so più se definire il ministro più patetico o inabile al ruolo perché la grossolanità, dell’affermazione è smisurata. Intanto in Italia la volontà popolare, il ministro lo sa bene, spesso si estrinseca con voti di scambio politico mafioso e in questo senso FDI, partito di maggioranza del governo, ne sa qualcosa. Ma dato che i mafiosi non ammettono reati al cellulare, tanto vale non intercettarli così non si saprà mai quanto la carica pubblica risponda a volontà popolare o desiderio delle cosche. Perciò uno si domanda per forza che sostanze si respirino in certi ministeri.
Inoltre Il ministro per proteggere Toti evoca la volontà popolare in un contesto di reati penali che se addebitati a un comune cittadino non muoverebbero una foglia in palazzi ove da mesi ci si spertica per esautorare magistrati o render loro la vita molto difficile. Per fortuna nostra e sfortuna di Nordio i magistrati provano a tutelare proprio l’interesse pubblico che un ministro della Repubblica dovrebbe considerare sopra ogni cosa. Invece quando questo interesse è messo a rischio da un privato agevolato proprio dal rappresentante della volontà popolare, l’ossessivo Nordio e la sua corte di miracolati opportunisti contestano i magistrati.
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Gioacchino Musumeci