DA REDAZIONE
Piero Badaloni dalla redazione di ARTICOLO VENTUNO –
E’ l’interrogativo che si pongono quanti, nel nostro Paese, hanno creduto e vogliono continuare a credere nell’Europa, convinti che l’Unione sia l’unico antidoto valido ed efficace alle dittature, di qualsiasi colore, che hanno devastato nel ventesimo secolo il vecchio continente.
L’Italia è stata tra i fondatori di questa Unione, fin dal suo primo nucleo, settant’anni fa, non dobbiamo dimenticarcelo. E invece, diversi esponenti della nuova generazione di politici che ora occupano gli scranni del nostro Parlamento, sembrano voler ignorare il prezioso contributo dato dal nostro Paese alla costruzione di questa Europa. Anzi, sono fermamente intenzionati a contestarlo. E’ la prima volta che capita nel corso di questi settanta anni. Per ottenere cosa?
Un ritorno al passato nazionalista e autarchico, che tanti danni ci ha portato, come vorrebbe Matteo Salvini insieme a Marine Le Pen, contraria con il suo movimento a ogni forma di integrazione razziale, insieme allo spagnolo Santiago Abascal, capo di Vox, il partito che vuole riabilitare il franchismo e all’ungherese Orban, il leader di quel gruppo di nostalgici del passato, che si è autodefinito “I patrioti per l’Europa”?
Un’Europa che in realtà loro vogliono svuotare di potere politico, per ridurla a una sola unione economica e sfruttarne a proprio uso e consumo i vantaggi, senza vincoli né controlli.
Un’Europa come piacerebbe tanto che fosse, sia all’americano Trump che al russo Putin, che non a caso tifano per questi esponenti della destra estrema in Italia, Francia, Spagna e Ungheria, condividendone spirito e principi politici.
Per non parlare dei tedeschi di AFD, altro partito politico di estrema destra, il cui leader qualche mese fa, ha tentato di giustificare in un’intervista il comportamento criminale delle SS.
Anche loro hanno formato un gruppo nel Parlamento europeo, chiamandolo “Europa delle nazioni sovrane”.
L’obiettivo è lo stesso: indebolire le istituzioni comunitarie europee, commissione e parlamento, espressione concreta della democrazia che regola la vita dell’Unione, per rinforzare i poteri nazionali dei Paesi che ne fanno parte, nel cosiddetto Consiglio europeo.
E in tutto questo, la nostra presidente del consiglio che cosa fa? Come al solito tenta di tenere i piedi in due staffe, un giorno europeista convinta, il giorno dopo feroce critica dell’Unione, colpevole di soffocare la libertà e l’autonomia delle scelte del governo italiano.
Al parlamento europeo, Il gruppo conservatore, che l’aveva votata come presidente, convinto che l’avrebbe portato a contare di più nelle scelte politiche dell’Unione, si è progressivamente ridotto perché vari suoi componenti hanno preferito emigrare verso gli altri due gruppi dell’estrema destra, non sopportando l’ambiguità della loro guida.
Ma questo atteggiamento ambiguo Giorgia Meloni ha voluto mantenerlo fino all’ultimo, con le conseguenze devastanti che ne sono derivate e che tutti possono osservare.
La leader dei Fratelli d’Italia è finita nell’angolo, in compagnia di Matteo Salvini e camerati, senza poter condizionare in alcun modo l’agenda politica dell’Unione per i prossimi cinque anni, messa a punto dalla maggioranza che ha rieletto Ursula Von der Leyen alla guida della commissione europea, una maggioranza formata da popolari, socialdemocratici e liberali, con l’appoggio dei verdi che in cambio, hanno ottenuto il mantenimento del green deal, il patto per la transizione ecologica tanto contestato dalla Meloni.
Il problema di fondo, come ha messo in maniera sintetica e chiara in rilievo Alberto D’Argenio in un suo editoriale su Repubblica, è che la nostra presidente del consiglio, nei momenti cruciali della delicata fase che è seguita alle elezioni europee, ha trattato sempre da capo di partito, non tenendo mai ben distinti i due ruoli, quello politico e quello istituzionale.
Così facendo, ora ha messo nell’angolo non solo il suo partito e il suo gruppo nel parlamento europeo, ma anche il nostro Paese, che rischia di restare emarginato nella assegnazione dei vari ruoli nelle istituzioni comunitarie, trattato come un paese di serie B, nonostante sia stato, come abbiamo detto all’inizio, uno dei paesi fondatori dell’Unione europea.
Staremo a vedere, ma i primi segnali già sono arrivati quando il segretario della Nato ha scelto come suo rappresentante per i rapporti con il sud del mediterraneo, il nome proposto dalla Spagna e non quello dell’Italia.
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Piero Badaloni
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20 Luglio 2024