DI BARBARA LEZZI
Le richieste di autonomia da parte di quasi tutte le regioni del nord, furono la croce del mio mandato. Pensate, giusto per fare un esercizio di memoria, che i quotidiani meridionali, supportati da intellettuali e opinionisti, mi accusavano di aver svenduto il sud concedendo l’autonomia mentre quelli del nord mi accusavano di voler frenare lo sviluppo del Paese bloccando l’autonomia. Controllate, alcuni di questi articoli, così contrastanti, venivano pubblicati lo stesso giorno. Un delirio provocato strumentalmente perché a nessuno interessava il merito.
In quei giorni dell’estate del 2019 fui persino allontanata dalle riunioni di Governo perché ero troppo “severa” nel rifiutare di accordare le richieste della Lega. Non sono pentita, non mi interessava tenere in piedi un Governo a tutti i costi e l’ho dimostrato in diverse altre occasioni ma ora i nodi vengono al pettine.
È iniziata la campagna per richiedere l’abrogazione della legge Calderoli che altro non è che una legge quadro per l’attuazione della Costituzione che prevede nuove forme di autonomia per le regioni che ne presentano richiesta. È promossa da tutto il campo progressista e dalla CGIL. Non sarà, quindi, difficile raggiungere le 500 mila firme necessarie tanto più che finalmente è anche attiva la piattaforma pubblica per firmare on line gratuitamente.
Lo scoglio sarà il quorum e ci sono delle ragioni ben precise per ritenere che l’obiettivo non sia così scontato. Ma queste ragioni potrebbero essere smontate se le forze in azione avranno intenzione di riconquistare un po’ di credibilità agli occhi degli elettori che sono un po’ meno smemorati di quanto si pensi.
L’autonomia non è stata mai contrastata in maniera decisa da nessun partito anzi la volevano tutti tranne proprio Fratelli d’Italia. Il PD ha avviato la riforma della Costituzione e, nel 2019, con il governo Conte 2 e con Boccia ministro, aveva iniziato a stilare una legge quadro per l’attuazione non tanto diversa da quella di Calderoli. Il tutto venne bloccato dalla pandemia. Il M5S appoggiò i referendum in Veneto e nel Conte 2 non ostacolò né l’allora ministro Boccia che preparava la concessione di nuove forme di autonomia né Bonaccini che le richiedeva con forza.
Ora sono tutti contrari. Bene anzi benissimo, ma non dovrebbero forse spiegare il perché del cambiamento di idea? Perché i cittadini che dovranno scegliere se andare a votare o restare a casa devono essere certi di avere in Parlamento rappresentanti che terranno fede al loro volere e non com’è stato con il referendum sull’acqua pubblica che, vi ricordo, è stato definitivamente affossato dal governo Draghi al grido “dobbiamo essere responsabili” di tutti i partiti.
Sarebbe una mossa intelligente da parte di Schlein spiegare quest’aspetto perché in questo caso non può più rispondere che quando c’era Renzi lasciò il PD né può dire che lei farà la differenza in quanto i fatti portano da un’altra parte. Infatti, Boccia e Bonaccini, sostenitori dell’autonomia, fanno parte dei vertici del partito nominanti direttamente da lei. Aggiungerei anche Provenzano che, come unico atto da Ministro del Sud, appoggiato da tutti in rigoroso silenzio, annacquò la legge che avevo approvato e che prevedeva un vincolo territoriale per gli investimenti.
C’è un motivo per il quale ci vuole una gran fiducia nei confronti dei promotori di questo referendum: con l’abrogazione della legge Calderoli NON si cancella la possibilità di chiedere e ottenere nuove forme di autonomia perché questa prerogativa resta salda in Costituzione e non c’è nulla che obbliga ad avere una legge quadro per attuarla tant’è che le richieste furono inoltrate dapprima al governo Gentiloni e poi a quello Conte.
Quindi, se si vincesse il referendum, il risultato sarebbe strettamente politico. Potente segnale politico, intendiamoci, ma poi dovrebbe essere sostenuto da leader convinti e non pronti a una nuova virata secondo le opportunità del momento.
C’è ancora qualcos’altro che non può mancare per una buona riuscita di questa battaglia e perché non diventi una colossale presa in giro.
Il PD, e anche la CGIL per la parte di sua competenza, è responsabile, insieme a tutti gli altri partiti con cui ha alternato governi e amministrazioni regionali, del profondo divario territoriale tra nord e sud. L’Italia è già spaccata in due. Ora che vuole fare? Cosa vuole rappresentare per il sud?
Io sono un po’ stufa, da meridionale quale sono, di giocare in difesa, di apparire come quella debole che implora di non essere abbandonata, che ha paura di peggiorare la propria situazione senza pretendere invece un miglioramento sostanziale. La sanità, ad esempio, non funziona al sud malgrado ci siano i LEA anche perché la politica la occupa in tutti i ruoli chiave. E parlo di tutta la politica, è pronto il PD a mollare la presa? È pronto a fare una vera analisi? Altrimenti si stanno facendo solo chiacchiere e, come al solito, il campo di battaglia è il sud che per l’ennesima volta sarà illuso, usato e relegato ai margini.
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Barbara Lezzi