Turchia Nato e Islam amico dicono basta allo strapotere di Israele

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

Nella crisi mediorientale che ormai sembra sfuggita di mano agli americani, potrebbe irrompere, con conseguenze imprevedibili, la Turchia. Una telefonata di fuoco, tra il premier turco Erdogan e il Presidente Biden dopo il ruolo decisivo svolto da Ankara nello scambio di prigionieri tra Russia e Usa, su Israele dopo l’uccisione a Teheran del leader di Hamas, Ismail Haniyeh.

Istanbul, folla oceanica a sostegno della Palestina

Governo Netanyahu pericolo per la pace nel mondo

“Il governo di Netanyahu ha mostrato la sua avversione alla pace e al cessate fuoco, ad ogni passo. L’assassinio di Haniyeh è stato il colpo decisivo. Israele sta cercando di diffondere le fiamme a Gaza e all’intera regione”. L’impressione seccamente manifestata da Erdogan a Biden, insomma, è che Netanyahu stia facendo un gioco pericoloso. Dice di voler trattare, ma quando l’accordo sembra vicino…. ammazza la controparte. La Casa Bianca è complice di questa diplomazia da manicomio, oppure semplicemente la subisce?

Usa complici o impotenti?

Ankara aveva già fatto un salto di qualità, nelle scorse settimane, nei suoi rapporti diplomatici con Tel Aviv. Erdogan, per la prima volta, aveva addirittura rivolto minacce militari dirette a Israele, in un tentativo di accontentare la sua base islamista, sempre più riottosa e insofferente. Gli aveva risposto il Ministro degli Esteri di Netanyahu, Israel Katz, insulto storico ai grandi statisti ebrei di qualche decennio fa. E infatti la reazione di Katz ha solo attizzato la rissa, chiedendo alla  Nato di espellere la Turchia.

Il rischio che Israele e America non capiscono

Quello che, a quanto pare, questo governo israeliano non capisce e che Biden non riesce (o non vuole?) mettergli in testa, è che i regimi islamici ‘moderati’ sono tali solo al vertice della piramide del potere. Paesi come l’Egitto, la Giordania, il Marocco o la Turchia, hanno una base popolare agguerrita, che ribolle. E che potrebbe diventare incontrollabile in qualsiasi momento, dando vita a una conflagrazione epocale anti-israeliana, e quindi anche anti-americana e anti-occidentale.

Turchia Paese laboratorio

La Turchia, in questo momento, è uno di tali Paesi-laboratorio e ignorarla può essere rischioso. Pare che Biden, nel corso della telefonata con Erdogan, si sia limitato a ringraziarlo per l’opera di mediazione nell’affaire dello scambio di prigionieri con la Russia. Per il resto, solo frasi di circostanza, sul fatto che gli attacchi israeliani allontanano una soluzione del conflitto. Detto dal Presidente degli Stati Uniti, sembra quasi una barzelletta. È come se la notizia l’avesse letta sui giornali. Intollerabile. E infatti, già i turchi stanno mettendo la diplomazia della regione a ferro e fuoco.

“Effetto domino”

Si chiama “effetto domino”, nel senso che, se tu guasti i miei equilibri, io fracasso i tuoi interessi. Gli Usa devono stare attenti con la Turchia, perché ci sono vecchie ruggini che Erdogan, non ha mai dimenticato. È uno che sa quando presentare il conto. Per ora sta dando fiato, dietro le quinte, a tumultuose manifestazioni di piazza filo-palestinesi, che oltre ai soliti slogan contro Israele, hanno messo l’America nel mirino. Dunque, i manifestanti (e non solo loro) chiedono che le basi militari Usa, utilizzate come testa di ponte per la regione, vengano chiuse.

“Stiamo parlando di Incirlik e del munitissimo centro radar di Kurecik, che si trova nella provincia orientale di Malatya. Il quale tiene sotto controllo anche tutti i (pericolosi) missili balistici in partenza dall’Iran.”

Non solo basi militari turche

C’è anche un problema storico-ideologico, all’origine della rinnovata inimicizia turca verso Israele e l’Occidente: i profondi legami esistenti tra il movimento islamista di Ankara, che faceva capo a Necmettin Erbakan (‘maestro’ di Erdogan) e il gruppo saudita della Fratellanza Mussulmana. Una fusione che predicava l’accoglienza e la protezione per i “combattenti per l’Islam”. Un principio applicato dalla Turchia, con le “porte aperte” offerte ai capi di Hamas. Mentre ora ad Ankara circolano voci su un (presunto) piano per un’alleanza regionale islamica. Con la Turchia come capofila.

“E si parla di ritorsioni economiche contro Israele, più pesanti di quelle commerciali finora applicate. Un “suggerimento” (non proprio brillante) si riferisce al blocco della “pipeline” energetica in arrivo dall’Azerbaigian. Una scelta che equivale, però, a segare il ramo di un albero sul quale ci si è appollaiati.”

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Articolo di Piero Orteca dalla redazione di

3 Agosto 2024