La Giordania, periferia est di Israele, è tornata a visitare l’Iran

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO – 

Dopo vent’anni, un Ministro degli Esteri della Giordania è tornato a visitare l’Iran. Basta solo questa notizia, per far capire la gravità del momento che sta attraversando il Medio Oriente, dove si teme, di giorno in giorno, un’escalation che potrebbe portare a una guerra regionale ‘generalizzata’. Se non peggio. La frenesia dei movimenti diplomatici sta raggiungendo il parossismo. Così, vecchie ruggini vengono messe da parte, pur di non restare presi in mezzo dalla tagliola di una crisi che non risparmia nessuno.

Il re giordano Abdullah II

Giordania tornata in Iran

Alcuni giorni fa, un po’a sorpresa ma, qualcuno dice, su precisa imbeccata della Casa Bianca, il ministro degli esteri giordano Ayman Safadi è stato spedito a Teheran, da re Abdullah II, per cercare di ammansire i furibondi ayatollah, dopo l’assassinio in casa loro di Ismail Haniyeh, il leader di Hamas. Il Ministro giordano ha incontrato il nuovo Presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, un ‘moderato’ che, per tutte le scelte fondamentali in politica estera, dipende dalla Guida suprema, Alì Khamenei. Quindi Pezeshkian ha solo potuto ribadire a Safadi “che la risposta ci sarà”. Ed è a questo punto che, per il piccolo regno hascemita, nascono serie preoccupazioni, che potrebbero trasformarsi in incubi se la situazione dovesse precipitare.

Amman sempre più faticosamente con Israele

Amman, infatti, rischia un’altra volta di doversi schierare nei fatti, a favore di Israele, come avvenne durante l’attacco iraniano dello scorso aprile. Allora permise ai caccia Usa, inglesi e francesi (e pure ai suoi) di abbattere droni e missili degli ayatollah, che sorvolavano il suo spazio aereo. Secondo alcune fonti, fu lo stesso Stato maggiore iraniano a comunicare, in anticipo, orari e località dei possibili bersagli agli americani. La mossa venne fatta sfruttando i buoni uffici di Paesi mediatori (Svizzera, Oman, Qatar e Turchia), che passarono le coordinate all’US Air Force. In tal modo, praticamente tutti i missili e i droni iraniani vennero abbattuti, e nessuno si fece male. Fu, insomma, una comparsata a uso e consumo dei giornali e delle televisioni.

Questa volta è diverso

Il governo di Teheran ha già fatto sapere alla Giordania e ad altri Paesi che se cercheranno di aiutare Israele, “anche utilizzando contromisure elettroniche”, potrebbero essere a loro volta attaccati. Come si vede, una situazione decisamente inquietante. Ma come capita in frangenti di questo tipo, al di là delle alleanze più o meno formali, la sicurezza nazionale ha la priorità e ognuno tira per il suo. Quindi, nonostante il ‘briefing’ di coordinamento, per un’eventuale risposta armata, tenuto dal capo del Centcom Usa (il generale Michael Kurilla), Egitto e Giordania hanno già fatto sapere che in caso di attacco iraniano resteranno assolutamente neutrali. Anche se non si capisce come si comporteranno i giordani, se i missili di Teheran dovessero violare il loro spazio aereo. Certo, le minacce di Teheran non hanno lasciato indifferente re Abdullah, che ha telefonato a Biden chiedendo sostegno.

Giordania “americana” a rischio

La sua è una situazione molto difficile, perché gli ayatollah sciiti stanno coalizzando un ampio fronte islamico, che comprende sunniti di tutti i tipi, a difesa dei palestinesi. E lui, invece, è un ‘alleato incrollabile’ degli americani, avendo però, la Giordania, il 70% di popolazione palestinese. Biden ha assicurato al re “il suo aiuto” (altre truppe?) forse dimenticando l’impegno che aveva preso con l’Irak, che era quello di smilitarizzare il Medio Oriente.  La Giordania, dunque, è diventata il classico vaso di coccio tra quelli di ferro. Filo-americano per ‘vocazione dinastica’ (basta guardare la biografia di re Abdullah II) il Paese è un mix etnico e culturale beduino-palestinese. Ovvero: il vertice della piramide del potere (forse) guarda a Occidente, ma il resto della popolazione ribolle. E va preso con le pinze.

Vertice “americano”, base palestinese

L’alleanza post-coloniale con gli Stati Uniti, lascito ereditato dai tempi poco gloriosi del Mandato britannico, ha fatto il resto. Collocando la Giordania in un limbo: sconfitta da Israele nel 1967, amputata dell’ampia regione oltre il fiume Giordano e costretta ad ‘amare’ l’America e ad accogliere le sue basi. Perché, la sopravvivenza ha un prezzo. Restano nelle carni dei giordano-palestinesi i ricordi traumatici del “Settembre nero”, di quando cioè re Husayn scagliò le sue divisioni corazzate contro i gruppi combattenti organizzati dai rifugiati che avevano abbandonato la Cisgiordania, dopo la sconfitta nella Guerra dei Sei giorni. Anche allora, manco a dirlo, furono gli americani a ‘istruire’ il re di Giordania, sul modo migliore per sbarazzarsi dei guerriglieri palestinesi. E Israele diede loro volentieri una mano, spedendo (su richiesta di Washington) l’aviazione a bloccare i rinforzi che arrivavano dalla Siria. I morti tra i palestinesi furono (si dice) 5 mila, e non sono mai stati dimenticati.

Settembre nero

“Chi studia la geopolitica di quel periodo e, soprattutto, si sofferma sull’ipocrisia di una certa narrativa storica, capirà subito perché, ancora oggi, a distanza di cinquant’anni, alla parola data dalla diplomazia americana non creda più nessuno. Specialmente se sei palestinese e sei nato in Giordania. Tutto questo mentre la vicepresidente Usa, Kamala Harris, proprio ieri ha ribadito che il suo Paese continuerà a rifornire Israele di tutte le armi “necessarie a difendersi”.”

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Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

9 Agosto 2024