Le guerre mediorientali di rimbalzo esplodono in Siria

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

La Siria è un’altra tessera del mosaico mediorientale che ha ripreso a traballare pericolosamente. Un attacco delle milizie islamiche dirette dall’Iran ha preso di mira, a Deir ez-Zour, le basi curde dell’SNF, l’esercito dei ribelli anti-Assad sostenuti dagli Stati Uniti. Gli americani hanno dovuto impegnare in combattimento anche gli elicotteri, per proteggere le loro installazioni militari, vicine ai pozzi petroliferi di al-Omar e Conoco. Attacco delle ‘Arab Tribal Forces’, che lotta contro i curdi (definiti ‘usurpatori’) e contro gli Stati Uniti, che li assistono e li riforniscono militarmente.

Stati Uniti nascostamente in Siria

Finita l’emergenza Isis, Washington ha deciso di proseguire, a tempo indeterminato, l’operazione ‘Inherent Resolve’, lasciando sul posto una consistente presenza militare. Nei fatti, la cosa si è rivelata un sostegno alla popolazione di etnia curda, infiammando, però, tutte le tribù arabe della regione. Ne ha approfittato l’Iran (e non solo) e adesso l’America è sulla difensiva, temendo di subire attacchi trasversali, magari su input degli ayatollah. In questi frangenti, la Siria è diventata il vero fronte dell’Apocalisse, il (confuso) campo di battaglia dove si sfidano, faccia a faccia, Stati Uniti e Russia. E dove una ‘miscalculation’, la pressione su un bottone sbagliato, può scatenare ‘giochi di guerra’ codificati quasi in automatico.

Dopo l’ex Isis, superpotenze faccia a faccia

Finita (apparentemente) l’emergenza Isis, sono rimaste sul terreno formazioni armate di tutti i tipi, che si scontrano quasi quotidianamente sotto l’occhio vigile (e preoccupato) degli americani. Che hanno una presenza nel nord-est del Paese e che accorrono, in caso di bisogno, dalle loro basi in Giordania e in Irak. Ma anche Putin, rientrato nel gioco al tempo dell’offensiva del Califfato, ha rimesso in zona le sue radici, grazie all’alleanza col Presidente Assad. Oggi Mosca continua a sfruttare la base navale di Tartus e, soprattutto, l’aeroporto militare di Hmeimim, di grande importanza strategica, dove operano caccia intercettatori Sukhoi di ultima generazione. I due siti gestiti dallo Stato maggiore russo inoltre, sono dotati di apparati per la guerra elettronica e lo ‘jamming’, il disturbo se non il blocco dei segnali. Secondo l’Intelligence occidentale, inoltre, l’aviazione di Putin sfrutta come sostegno logistico altre due basi siriane, Shayrat e Tyras.

Russia “mostra bandiera” sul Golan

Non solo. Posti avanzati di osservazione russi sono comparsi “a mostrare la bandiera”, per la prima volta, sul versante siriano del Golan occupato da Israele. Altre unità sarebbero state individuate ai piedi delle alture, nell’area di Quneitra e Daraa. Un chiaro monito per Netanyahu: stai attento su chi sganci le tue bombe. Anche perché, è questo il punto, finora piloti russi e israeliani non si sono mai scontrati, grazie ad un discutibile ‘gentleman’s agreement’ (difficile trovare il gentlemen). E quando gli aerei di Tel Aviv hanno bombardato zone pericolosamente vicine alle installazioni dei russi, li hanno sempre avvisati prima. Certo, adesso la guerra di Gaza e la crisi con l’Iran stanno cambiando tutti gli scenari.

Usa, ritorno in Medio Oriente

La presenza americana in Medio Oriente aumenta in modo significativo e la Casa Bianca ha già fatto capire che non intende rispettare gli impegni presi, per il ritiro del suo corpo di spedizione. Anzi, l’US Army mantiene una pressione costante nel nord-est della Siria. Ufficialmente, per continuare a combattere contro i disperati superstiti dell’Isis, ma in verità per impedire il transito di rifornimenti, in arrivo dall’Iran, a sostegno della galassia dei gruppi sciiti. Si tratta di quelle formazioni che fanno parte dell’«Asse di resistenza», e che sono coordinate dal comando delle brigate Al Quds, il braccio armato ‘estero’ delle Guardie rivoluzionarie. La situazione sul campo è realmente caotica.

Massacro del “tutti contro tutti”

Gli americani ‘tutelano’ le aree curde del nord-est, appoggiandosi alle milizie anti-Assad, ma così facendo innescano lo scontento arabo, che si ribella. È quanto succede periodicamente a Deir ez-Zour, con una serie di sanguinose battaglie tribali, e con l’US Army in mezzo. L’estensione dei combattimenti, da Raqqah ad Hasakeh, ha indotto alla fine molti arabi a cercare l’aiuto dei turchi, ferocemente anti-curdi (e, per la proprietà transitiva, in questo caso, anche anti-americani). E qui entra in gioco il convitato di pietra: Recep Tayyip Erdogan. Il Presidente della Turchia sta giocando una spavalda partita di poker geopolitica. Sfrutta la palese fragilità della diplomazia Usa, per insinuarsi in ogni piega che gli offre la crisi mediorientale e non si crea problemi a rivoltare intese e alleanze. L’ultima lo trova imbarcato sulla stessa scialuppa di Putin.

Gioco di prestigio diplomatico

Il leader russo vuole, a tutti i costi, riavvicinare Damasco e Ankara, siglando addirittura una sorta di patto di ferro sul controllo della Siria. Si sta sforzando di coinvolgere anche gli ayatollah, in questa specie di gioco di prestigio diplomatico.  Lasciando così, in mezzo al guado, sia Israele che gli Stati Uniti, costretti a guardarsi le spalle e a impiegare un numero crescente di uomini e risorse, per controllare un Paese ‘incontrollabile’. Perché la Siria resta formalmente integra, ma nei fatti è già ‘tribalizzata’, col potere locale che viene esercitato dal più forte. Si tratta di un processo di ‘incastri’, caotico e imprevedibile, che può riservare sorprese da un giorno all’altro.

Incastri caotici e imprevedibili

Gli Usa sostengono i curdi del YPG (versione locale del PKK), che formano l’esercito dei rivoltosi anti-Assad (SDF). Ma sono, allo stesso tempo, nemici mortali dei turchi, che occupano stabilmente la fascia nord del confine, per una profondità di 15-20 chilometri. Ankara controlla a sua volta, nel nord-ovest, il gruppo jihadista di “Idlib Hayat Tahrir al Sham” (HTS), che confluisce nell’Esercito nazionale siriano (100 mila uomini), un’altra armata che combatte contro il governo di Damasco.

“E qui ci fermiamo. Perché dovremmo aggiungere tutta la catena di grandi e piccole milizie sciite che prendono direttamente ordini da Teheran. La Siria, purtroppo, è diventata un luogo spaventoso, dove si entra gratis, ma poi, alla fine, il biglietto si paga per uscire.”

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Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di
10 Agosto 2024