Sport e politica

DI MARIO PIAZZA

Mario Piazza

 

Sento dire che le due cose dovrebbero essere nettamente separate e sorrido per l’ingenuità dell’affermazione, perchè gli sport sono tanti e già praticarne uno invece di un altro è un fatto politico.
A parte qualche rara eccezione (Panatta era il figlio del custode del tennis club, lo so) sono le possibilità economiche, lo strato sociale e la cultura familiare a determinare la scelta. Difficilmente il figlio di un operaio si dedicherà all’equitazione ed è del tutto improbabile che un rampollo della borghesia vada a farsi rompere il naso in una palestra di boxe.
Non basta, perché chi è costretto a scegliere uno sport da poveri porterà con se una motivazione che con lo sport non dovrebbe aver nulla a che vedere: il bisogno impellente di arricchirsi.
Non basta ancora, perché la federazione sportiva a cui apparterrà sarà ricca e popolare oppure povera e negletta soltanto grazie ai vantaggi politici che il suo finanziamento porterà al governante di turno.
E mica finisce qua, come dimostra il linciaggio politico e mediatico della povera Imane Khelif che ha meritatamente vinto l’oro olimpico. Chi governa tenendo al guinzaglio buona parte dell’informazione non ha esitato un attimo a trasferire in una competizione sportiva tutta la spazzatura ideologica in cui crede, nazionalismo, razzismo, omofobia e sessismo, per nutrire il branco di iene e lo stormo di avvoltoi che costituiscono il nocciolo duro del suo elettorato.
La politica è capace di infilarsi persino nella scelta di un vasetto di yoghurt, figuriamoci se lo sport che per sua stessa natura le spalanca le braccia poteva rimanerne fuori.
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Mario Piazza