Manizha Bgirl Talash, la potenza di un gesto che smaschera le ipocrisie del sistema

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Antonella Napoli dalla redazione di ARTICOLO VENTUNO –

Poco più di 20 anni, occhi da cerbiatta e coraggio da leone. Manizha Bgirl Talash aveva dichiarato all’Associated Press appena arrivata a Parigi dalla Spagna, dove ha ottenuto il diritto di asilo: “Sono qui perché voglio realizzare il mio sogno. Non perché ho paura”.
Ma con il gesto che le è costato la squalifica dalla gara olimpica di break dance, l’atleta della squadra dei rifugiati ha dimostrato molto di più.
Durante la sua esibizione, Manizha ha esposto la scritta “Freedom for Afghan Women”, il che ha portato alla sua esclusione dalla competizione.
Il suo non è stato solo un atto di protesta per richiamare l’attenzione sui diritti delle donne afghane, un tema particolarmente delicato e attuale dopo il ritorno al potere dei talebani in Afghanistan, ma l’affermazione di un principio che l’Occidente non ha difeso: la libertà e la parità delle afghane.
Questo gesto ha suscitato polemiche, evidenziando una contraddizione: i rifugiati sono accolti con entusiasmo e benevolenza, ma non possono utilizzare il loro tempo per mettere in luce le ingiustizie che affrontano.
La squalifica di Manizha, in contrasto con la positiva ricezione dell’atto di Kimia Yousofi, che ha mostrato un messaggio simile senza conseguenze (ma a termine della gara), pone interrogativi sulla coerenza delle regole olimpiche riguardo alla libertà di espressione.
Questa situazione sottolinea che, mentre i giochi olimpici vogliono rappresentare un’opportunità di inclusione, le loro regole possono limitare la possibilità per gli atleti di utilizzare la loro voce per promuovere i diritti umani.
Questa, come altre vicende simili, mettono in luce una problematica più ampia riguardo alla libertà di espressione nel corso di eventi sportivi di grande rilievo, non solo alle Olimpiadi.
Fatti che invitano a riflettere su come i giochi olimpici, pur celebrando la diversità e lo spirito decubertiano della sana, leale, partecipazione, possano anche essere un palco di silenzio per le ingiustizie e le lotte che i partecipanti affrontano nella loro quotidianità.
La squalifica da parte del Ciò di questa atleta afgana è in netta contraddizione con i valori che lo sport deve saper “esportare”. I diritti umani non sono negoziabili.
Mai.

Antonella Napoli, dalla redazione di

11 Agosto 2024