Trattare e assieme colpire nel mercato della tregua

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

Da un lato, si cerca disperatamente di trattare – così affermano pubblicamente -, mentre dall’altro ci si scambiano vicendevolmente razzi e bombe. In questo pazzo e tragico Medio Oriente, capita anche che la ferocia della guerra si sovrapponga, di proposito, alla diplomazia. Quando la diplomazia non è complice, per poter dare la colpa della guerra insistita all’avversario.

Trattativa e bombardamenti

Nello stesso giorno in cui erano previsti, in Egitto, i colloqui per il cessate il fuoco di Gaza, gli israeliani hanno compiuto l’attacco aereo più violento degli ultimi anni in Libano, contro Hezbollah. Una operazione di bombardamento massiccia, che ha impiegato oltre 100 aerei, per colpire addirittura, come dicono i bollettini ufficiali, “migliaia di obiettivi”. E adesso? Hassan Nasrallah, il leader dei miliziani sciiti libanesi, è apparso subito in televisione a promettere vendetta. Sul tavolo la rappresaglia (“fredda”), dopo qualche settimana, per l’omicidio “mirato” di Fuad Shukr, uno dei capi di Hezbollah. “Ogni parte dell’Asse della resistenza, ha il diritto di determinare – ha detto Nasrallah – quando e come rispondere. Dopo che lo ha fatto Hezbollah contro Israele, anche l’Iran risponderà e pure gli Houthi”. Insomma, non sembra proprio una dichiarazione beneaugurante per i colloqui di pace del Cairo.

Ora razzi e droni, missili mirati dopo

Nasrallah ha poi aggiunto che non c’era alcuna intenzione di colpire i civili, ma che gli obiettivi scelti erano accuratamente di tipo militare. “Abbiamo lanciato solo razzi Katyusha (una vecchia arma sovietica n.d.r.) e dei droni – ha concluso lo sceicco – ma non i missili balistici. Quelli li conserviamo per altre occasioni”. Ma cosa è successo esattamente? L’Alto comando israeliano parla di “attacco preventivo, effettuato per anticipare il lancio di razzi e droni di Hezbollah fino a Tel Aviv”. La preoccupazione era così elevata, che le autorità hanno deciso di aprire ben 240 rifugi nella città più grande dello Stato ebraico, consigliando ai residenti di tenersi pronti a utilizzare anche i parcheggi sotterranei. Si pensa che, nel mirino dei miliziani sciiti, ci fossero anche le sedi dei Servizi segreti, il Mossad e lo Shin Bet. Cosa peraltro confermata da Nasrallah. Per alcune ore, è stato chiuso anche l’aeroporto internazionale Ben Gurion. Non è chiaro quanti razzi e droni gli uomini di Hezbollah siano riusciti a sparare verso la Galilea.

Il vero timore di Israele altrove

Allarma gli israeliani, però, un episodio che si è verificato al largo delle coste di Haifa, dove un drone sciita ha colpito una nave da guerra, uccidendo un marinaio e danneggiando l’unità. Si sta indagando, per valutare se non si sia trattato di un fallimento del sistema antiaereo “Iron Dome”. Anche la reazione di Netanyahu è stata particolarmente dura. Il premier ha ‘avvisato’ Hezbollah che l’attacco preventivo di Israele potrebbe essere solo un assaggio. “La cosa non finisce qua” ha detto. Nel frattempo è stata anche data notizia di una telefonata di “solidarietà”, fatta dal Segretario alla Difesa americano Lloyd Austin al suo omologo israeliano Yoav Gallant. Il capo del Pentagono ha ribadito che le forze armate degli Stati Uniti “sono pronte a difendere Israele in qualsiasi momento contro Hezbollah e – ha aggiunto – anche contro l’Iran”. Tutta questa pantomima guerrafondaia è avvenuta, come detto, proprio mentre al Cairo si incontravano (di malavoglia) le delegazioni di Hamas e di Israele, per vedere di raggiungere un accordo sul cessate il fuoco.

Pantomima guerrafondaia o diplomatica?

Una situazione diplomaticamente bizzarra, in cui il mediatore principale, gli Stati Uniti, rappresentati dall’inviato speciale di Biden, Brett McGurk, da una parte trattano e dall’altra minacciano. Secondo quanto riportato dal quotidiano di Tel Aviv Haaretz, i capi dei Servizi segreti israeliani, il Mossad e lo Shin Bet, che rappresentano lo Stato ebraico nei colloqui, sono stati per diverse ore al Cairo, per poi ripartire. Grande regista della trattativa è stato il direttore della Cia, William Burns. A fare la spola tra le due delegazioni nemiche, ospitate in siti diversi ma attigui, sono stati i funzionari egiziani e del Qatar. Le ultime voci di corridoio dicono che c’è stato qualche progresso, ma che gli ostacoli principali restano ancora intatti. La narrativa di Haaretz, giornale israeliano progressista, afferma che Hamas esige un cessate il fuoco generale, mentre Netanyahu (e gli Usa) offrono formalmente solo una tregua di sei settimane, “e poi si vedrà”.

Le intransigenze di Netanyahu

“Resta, inoltre, irrisolto il problema dei due corridoi strategici, il Filadelfia (al confine con l’Egitto) e il Netzarim, che spacca in due Gaza. Da questi cruciali luoghi di transito, Netanyahu ha già detto di non volersi ritirare. Così come ha pure ribadito, che non consentirà mai il ritorno di tutti i profughi di Gaza nel nord della Striscia. I negoziati dovrebbero riprendere presto, mentre oggi il primo ministro del Qatar, Mohammed al-Thani si recherà in Iran, per riferire sulle prospettive di riuscita dei colloqui. L’impressione è che si vada avanti per forza d’inerzia o, comunque, perché si vuole dare al mondo l’impressione che a fare fallire le trattative sia l’ostinazione dell’avversario.”

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Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

26 Agosto 2024