Colloqui di pace, elezioni americane, “corridoio Filadelfia”

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

Titolo alternativo, ‘la pace beffata’. In Israele-Palestina, Sinwar, leader di Hamas, ha bisogno degli ostaggi per non essere ucciso, e Netanyahu, capo del governo israeliano, ha bisogno che la guerra prosegua per evitare la fine del suo regno, denuncia Zvi Schuldiner, intellettuale ebreo. Negli Stati Uniti, mediatori decisivi con il potere dell’arsenale e della cassaforte, a Trump conviene che la guerra continui per imporre da presidente la sua pace, mentre a Biden-Harris serve la tregua per salvare la faccia e la presidenza.

Se il ministro della Difesa è l’ultimo pacifista rimasto

Ieri notte il governo israeliano, quasi alla chetichella, ha votato compatto (meno Gallant, appunto, e con la paradossale astensione di Ben-Gvir) per il mantenimento del controllo militare del “corridoio Filadelfia”. Cioè, dei 14 chilometri di confine sud, tra la Striscia di Gaza e l’Egitto. Si tratta, in pratica, di ignorare una delle due o tre condizioni fondamentali poste da Hamas per sottoscrivere l’accordo. Un’intesa indispensabile per cominciare a parlare di “pace di lungo periodo”. E che Netanyahu, come è ormai evidente, fa di tutto per sabotare. Questa volta, per non farsi accusare di essere l’architetto di un tale gioco al massacro, il premier ha pensato di spalmare la responsabilità del probabilissimo fallimento dei negoziati su tutto l’esecutivo.

Condizioni non negoziabili

Mentre in Israele si votava, per tagliare la strada a qualsiasi ipotesi di ‘cessate il fuoco’, a Doha, in Qatar, nuovo round dei ‘mediatori’ per mercoledì prossimo. Il Mossad e lo Shin Bet, grazie ai mediatori, tratteranno con Hamas, sotto l’occhio degli inviati di Biden. Ma la domanda che si fa il quotidiano di Tel Aviv, Haaretz, è: di che cosa discuteranno, dal momento che l’intenzione dichiarata e formalmente votata del governo Netanyahu è quella di porre delle condizioni non negoziabili?

Guerra priorità assoluta

Le ‘linee rosse’, invalicabili per il leader israeliano, comprendono la supervisione del valico di Rafah. E poi si allargano, con lo stesso problema sorto col “Filadelfia”, a un altro corridoio strategicamente fondamentale: il Netzarim, il corridoio tra rovine fatto dalla ruspe dell’esercito, che taglia in due la Striscia e che vuole controllare (in esclusiva) per poter intervenire, in qualsiasi momento, con le sue forze armate. Come dire che, anche se l’esercito dello Stato ebraico dovesse ritirarsi completamente, è pronto a rientrare con i mezzi blindati in… venti minuti. Il che non è il massimo né per una sovranità palestinese (in salsa israelo-americana) e manco per una ‘autonomia’ posticcia, che di fatto sarebbe controllata coi fucili.

Ottimismo di convenienza elettorale

Lecito pensare che il moderato ottimismo contrabbandato dalla Casa Bianca, sulla possibile riuscita dei colloqui, sia più un artificio promozionale d’immagine, a fini di politica interna (e sondaggistica), piuttosto che un significativo sforzo dell’asse Biden-Harris di aggiustare le cose. Né si capisce, fino in fondo, l’immenso potere contrattuale (o di ricatto?) esercitato da Netanyahu nei confronti dell’Amministrazione Democratica Usa. La quale si dice ‘preoccupata’ delle vittime civili di Gaza e della Cisgiordania, ma continua a finanziarne “incrollabilmente” i bombardamenti, con miliardi di dollari e ordigni da una tonnellata. Misteri. Ma fino a un certo punto.

Le elezioni americane sulla tragedia Gaza

Adesso capita che Kamala Harris, nell’ansia di posizionarsi al centro, abbia cominciato a inseguire Donald Trump sul tema molto scottante del voto ebraico e dei sostegni dei ‘Public Affairs Committee’ che finanziano le campagne. Lo scrive, con sconcertante chiarezza, un giornale israeliano prestigioso e autorevole come Haaretz. “La campagna presidenziale di Kamala Harris – riporta testualmente l’articolo di Ben Samuels, da Washington – ha annunciato un importante impegno, incentrato sul raggiungimento degli elettori ebrei, con l’obiettivo di sottolineare il suo incrollabile sostegno a Israele, in mezzo alle speculazioni su un suo possibile abbandono della politica dell’Amministrazione Biden sulla guerra di Gaza”.

Al mercato del voto Usa

“Tradotto, significa che, se Trump è un cinico imprenditore, che tratta la politica estera con lo stesso approccio grossolano di un mercante levantino, non è che la Signora Harris brilli invece per una lungimirante visione strategica dei problemi internazionali. Dice poco e qualche volta si contraddice, quando si affanna a dire che lei “è d’accordo in tutto e per tutto con Biden”. E non è il ‘nuovo’ sperato.”

 

Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

31 Agosto 2024