Stati Uniti superpotenza di debiti, più di qualsiasi altro Paese al mondo

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

Le decisioni cruciali per l’economia di una grande nazione spesso dipendono da pochi indicatori. Ieri, negli Usa, si aspettavano i dati sul mercato del lavoro. Un aumento consistente dell’occupazione, ‘il sistema tira”’. Salvo piccola furberie. La crescita c’è stata (circa 142 mila posti in più ad agosto), ma è stata inferiore a quanto si aspettavano gli specialisti, e sono stati corretti (al ribasso) anche i dati riguardanti giugno e luglio (86 mila lavoratori in più). Perché è importante? Perché sono tra i numeri che decideranno chi vincerà tra Harris e Trump.

L’economia americana frena

In quei due mesi, i dati erano stati calcolati erroneamente, e in realtà c’è stata una frenata. Ed è un dato importante per l’andamento del ‘sistema America’ dei prossimi mesi, su cui su confrontano e si scontrano decisivi interessi economico ma assieme politico ed elettorale. Insomma, c’è stata una frenata. Perché il dato è importante? Perché, sul trend che prenderà nei prossimi mesi il sistema-America, si confrontano (e si scontrano violentemente) due scuole di pensiero: quella Biden-Harris e quella espressa da Donald Trump. Ed ecco perché qualsiasi segnale di modifica, degli indicatori che quantificano un sistema, scatena un serrato contraddittorio politico, che sconfina in una vera battaglia, fatta di accuse e controaccuse.

Pandemia, guerra in Ucraina, sanzioni alla Russia e Cina da battere

Cosa è accaduto in questi ultimi difficili anni? Il Presidente degli Stati Uniti ha tenuto l’economia a galla con i “pagherò”, cioè con il debito pubblico, ma a un prezzo salatissimo: accumulando un deficit di bilancio astronomico. Che qualcuno, prima o dopo, dovrà pagare. Da calcoli approssimativi fatti mettendo assieme tutte le operazioni finanziarie sostenute nel piano della Casa Bianca, l’esborso ammonta a una cifra compresa fra i 3 e i 5 trilioni di dollari. Qual è il problema ora? Beh, diciamo che con un’inflazione al 2,9% e tassi di interesse ancora troppo elevati la Federal Reserve presto deciderà un primo taglio. E qui il dubbio è “quanto” tagliare. Si potrebbe decidere per un lieve 0,25%, oppure andare direttamente a mezzo punto.

Mercati azionari nervosi

In ogni caso, anche il nervosismo dei mercati azionari dimostra che ci si attende un progressivo rallentamento dell’economia americana. Siccome nella globalizzazione telematica attuale i fenomeni avvengono in tempo reale, potrebbe anche verificarsi una frenata più forte del previsto del sistema, che annuncia una recessione. E questa sarebbe una tragica notizia per il ticket Biden-Harris, che proprio sul versante economico sta combattendo sulla difensiva. Certo, molto dipende anche dalle mosse che farà Jerome Powell, il Presidente della Federal Reserve. A questo proposito, ieri, in un lungo report, il Wall Street Journal ha fatto capire che c’è ancora molta incertezza. John Williams, il Presidente della FED di New York, nonché stretto collaboratore di Powell, ha dichiarato che i tassi caleranno, ma non subito e, soprattutto, non in misura consistente.

Resta la superpotenza gravata da una montagna di debiti.

La Banca centrale Usa continua a tenere la guardia alta e non si fida molto di indicatori, che offrono un’immagine in chiaro-scuro dell’economia americana. D’altro canto è difficile dargli torto. Con tutto il rispetto per le scelte emergenziali fatte negli ultimi tre anni e mezzo dalla Casa Bianca, i numeri dicono che, in quanto a spesa pubblica, gli Stati Uniti sono diventati il Paese della cuccagna.

L’ultimo numero dell’Economist, tra i suoi indicatori, segnala che il deficit su Pil Usa viaggia intorno al 7%. Peggio hanno fatto solo Brasile, Israele e Pakistan. E la Russia. Insomma, se non si chiamassero Stati Uniti, visto come s’indebitano, le società di rating dovrebbero essere le prime a “degradarli”.”

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Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

7 Settembre 2024