DI PIERO ORTECA
Dalla redazione di REMOCONTRO –
“Tutti i Paesi confinanti con la Russia in Europa e nell’Asia centrale sanno che la guerra arriverà anche da loro”, parola di Zelensky. Un piano per la pace in cinque punti, partendo dalla vittoria sulla Russia. Quello che ormai stupisce, però, è la sua incapacità di interpretare, fronteggiandoli, gli eventi di quest’ultimo anno. Il leader ucraino si è presentato di fronte all’Assemblea generale dell’Onu cercando di parlare di pace, la “sua pace”. Ma ha fatto un discorso dove invece si è capito che, per quanto lo riguarda, l’unica vera strada percorribile resta la guerra
Solo guerra. Fino alla vittoria.
Un piano per la pace in cinque punti. Si chiama così l’irrealistico piano di vittoria su Mosca che oggi mostrerà a Biden. Zelensky ne ha accennato al Consiglio di Sicurezza, dove ha usato toni più bellicosi. Lo ha fatto per lanciare un appello, che è sembrata più una chiamata alle armi che una proposta di dialogo. I Paesi del Sud del mondo sanno benissimo che le colpe della guerra in Ucraina sono di Putin. Ma di quel conflitto conoscono anche i devastanti effetti collaterali, tremendamente amplificati dalle sanzioni economiche volute dall’Occidente. Che pagano tutti, e in particolare, proprio gli ultimi della Terra. Per questo, a molti, è sembrato “stonato” che il Presidente ucraino snocciolasse, davanti ad alcuni allibiti diplomatici, i capisaldi del suo “piano per la vittoria”.
Zelensky più solo che mai
Il passionale Zelensky non ci ha capito niente e così, anziché abbozzare una sia pur minima apertura di dialogo (e parlare di trattative di pace), ha semplicemente delineato strategie d’attacco all’ultimo sangue. Evidentemente, non si è reso conto che stava parlando davanti al mondo e non nello Studio ovale di Biden. “Non ha elaborato il piano, nel suo breve discorso di martedì – sostiene il Wall Street Journal – ma ha detto che vuole più armi, il permesso di usare missili a lungo raggio per colpire all’interno della Russia e garanzie di sicurezza. Questa guerra non può semplicemente svanire – ha aggiunto Zelensky – né può essere placata dai colloqui. Ci vuole un’azione”. Corto e chiaro. E chi vuole capire, capisca.
Chi ha paura della pace?
Colpisce la diversità dei toni usati da Zelensky: più aggressivi al Consiglio di Sicurezza, meno aspri in Assemblea. La leadership ucraina, in questo momento, teme le trattative di pace perché sa che l’avvio di un processo diplomatico congelerebbe la situazione sul campo di battaglia. E le conquiste russe nel Donbass (oltre alla Crimea) verrebbero “digerite” nel tempo. Intanto, però, la situazione sul terreno è quasi catastrofica e i continui rifornimenti di armi occidentali non bastano più. Ci vorrebbe un salto di qualità. L’allargamento della guerra? Non è escluso che a Kiev qualcuno ci pensi e si faccia sedurre dalla strategia del “tanto peggio tanto meglio”. Ma a Washington sanno che l’escalation convenzionale ha un punto di rottura, oltre il quale comincia un altro tipo di guerra: quella nucleare “di teatro”.
Rischio nucleare reale
Non è fantapolitica, ma si tratta di scenari che tutti gli eserciti del mondo studiano come casi-scuola. Ecco spiegato perché l’Amministrazione Biden “si è rifiutata – scrive il WSJ – di rimuovere le restrizioni sugli attacchi a lungo raggio in Russia, frustrando Kiev che afferma di dover combattere con un braccio legato dietro la schiena”. Oggi Zelensky incontrerà Biden, al quale però dovrà prospettare una situazione militare (e del fronte interno) molto difficile. La stessa stampa americana parlava, ieri, della linea di resistenza ucraina nel Donbass, sottoposta a una formidabile pressione. Le truppe russe sono già a qualche chilometro di distanza dall’importante snodo logistico di Pokrovsk, mentre avanzano, lentamente ma inesorabilmente, anche verso il centro minerario di Vuhledar e la cittadina di Toretsk.
Catastrofe Kursk
Purtroppo per Kiev, la scelta di invadere l’oblast russo di Kursk, bruciando truppe scelte e molte risorse, è stata un errore. Perché l’operazione, alla fine, si risolverà in un danno strategico, togliendo forze di riserva al vitale fronte di Donetsk. Certo, molto ci sarebbe da dire e da scrivere sulla “strategia di logoramento” voluta dal Pentagono e sottoscritta da Biden, per fronteggiare Putin in Ucraina. Alla fine, la risposta ritenuta migliore, è stata quella di una guerra senza limiti, combattuta da Kiev “per procura” dell’Occidente. Un conflitto che però non ha più nè capo e né coda. Perché non ha una chiara strategia di uscita.
Sanzioni a perdere
Tra le altre cose, uno degli elementi che non hanno funzionato, nel piano americano anti-Putin, è stato quello delle sanzioni economiche. E fioriscono analisi, critiche e studi specialistici. Uno dei lavori che sta riscuotendo più attenzione a livello mondiale è quello, recentissimo, di Stephanie Baker, giornalista di Bloomberg. In “Punishing Putin, la nuova avvincente rivelazione sulle sanzioni economiche globali contro la guerra della Russia in Ucraina ”, vengono spiegati dettagliatamente i presupposti (sbagliati) della strategia americana. Tutta l’architettura della “trappola finanziaria” studiata da due alti funzionari della Casa Bianca (Wally Adeyemo e Daleep Singh), col concorso dell’Unione Europea (con Bjorn Seibert a rappresentare Ursula Von der Leyen e Mario Draghi “superesperto”), e messa a confronto con i risultati.
“Punishing Putin”, in grande inciampo
Sconfortanti (per l’Occidente). Le sanzioni sono state un buco nell’acqua, hanno ucciso la globalizzazione, allargando il fossato tra il nord e il sud del mondo e ci hanno “regalato” quasi due anni di alta inflazione. Un disastro. Mentre ancora un terzo dell’Ucraina è sempre sotto la Russia. Non solo.
“La Baker punta l’indice contro Washington: congelare i soldi della Banca centrale russa e spenderne gli interessi ha leso l’immagine di “fiducia finanziaria”, quella che si chiama “rottura del presupposto di uguaglianza sovrana”. Significa che se mi affidi i tuoi soldi, e politicamente non segui il mio percorso, potrei anche sequestrarteli in qualsiasi momento. Alla faccia della fiducia. E ora capite perché in Africa, Asia e America Latina, guardano l’America di sguincio?”
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Articolo di Piero Orteca dalla redazione di
26 Settembre 2024