L’Iran risponde a Israele con gli Usa accanto ed è rischio guerra totale

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

Pioggia di missili su Israele, Netanyahu: ‘L’Iran la pagherà’. Nel mirino il sito nucleare di Tehran. Portaerei Usa verso il Golfo persico. Londra e Parigi: ‘anche le nostre forze sono intervenute contro la minaccia di Teheran’. Nuovi raid israeliani su Beirut. Nyt: distrutta la metà dell’arsenale della milizia sciita.

Alla fine l’attacco iraniano è arrivato

Ieri sera, sono stati lanciati almeno 180 missili balistici contro Israele, indirizzati su un’area vastissima, compresa tra Gerusalemme, Tel Aviv e il Negev. L’allarme preventivo era stato dato dagli Usa, diverse ora prima e con una certa precisione. Tanto che si è pensato a una sorta di ‘avvertimento’, concesso dagli ayatollah per limitare i danni collaterali. Ma il Dipartimento di Stato ha smentito. Secondo la Reuters, invece, gli iraniani hanno informato la Russia delle loro intenzioni. Non sarebbe dunque strano pensare a una sorta di ‘triangolazione’, con qualcuno che ha fatto da intermediario.

Israeliani e Usa in allarme preventivo

Fatto sta che israeliani e americani erano già in allarme e cooperando sono riusciti ad abbattere gran parte dei missili. Minimi i danni denunciati ufficialmente, anche se dai ‘blog’ di giornali come Haaretz saltano fuori testimonianze contrastanti, di lettori che ipotizzano colpi inferti a bersagli militari. Comunque sia, adesso Netanyahu avrà la giustificazione che aspettava per regolare i conti con Khamenei. E Biden non ha perso tempo a schierare il suo potente apparato militare a fianco degli israeliani, dicendosi pronto a intervenire in caso di necessità.

La guerra elettorale di Biden

Il contingente Usa nell’area sta per essere aumentato massicciamente. E, nel frattempo, gli israeliani non si dimenticano di Hezbollah. Un’invasione generale del Libano del sud è sempre più probabile e, per questo, l’IDF ha già richiamato altre quattro brigate di riservisti da utilizzare sul fronte nord. Ma, tornando alla rappresaglia iraniana, si impongono alcune riflessioni per comprendere i possibili sviluppi degli scenari militari e diplomatici.

La chiamavano “pazienza strategica”

Era la dottrina che l’Iran stava cercando di adottare, per non farsi trascinare in un devastante scontro frontale con Israele. Finora, il quadro tattico diceva che Netanyahu stava vincendo alla grande. E che voleva sfruttare questa “finestra di opportunità” per chiudere tutti i conti aperti, non solo con Hezbollah, ma soprattutto con gli irriducibili nemici di Teheran. Così, Israele, col via libera di Biden, aveva alzato ogni giorno che passava l’asticella dell’escalation. Cercava la guerra con gli ayatollah, per distruggerne i siti di arricchimento dell’uranio. E loro hanno abboccato all’amo, magari pressati dal Corpo delle Guardie rivoluzionarie, sempre più insofferenti e smaniose di “dare una risposta” a Israele.

Incubo atomica degli ayatollah

La vera sfida strategica per Netanyahu, adesso, è impedire agli ayatollah di farsi la “bomba”, perché questo cambierebbe in modo drastico gli scenari geopolitici di tutto il Medio Oriente. Un Iran dotato di armi nucleari metterebbe da parte la ‘pazienza’ e parlerebbe, di sicuro, un’altra lingua diplomatica. Proprio per questo, l’establishment della teocrazia persiana stava cercando, disperatamente, di guadagnare tempo, evitando di offrire a Israele l’occasione per colpire preventivamente. Ecco spiegata la “forbice” esistente tra la retorica propagandistica del regime, che prometteva severe punizioni “ai sionisti”, e la realtà dei fatti, che registrava un immobilismo assoluto delle forze armate iraniane.

Il capo dell’esercito iraniano

Su “Teheran Times”, il comandante in capo dell’esercito, generale Abdolrahim Mousavi, per esempio, aveva lanciato un avvertimento a Israele, dicendogli “di essere pronto a rispondere al recente assassinio di Nasrallah”. Ma, contemporaneamente, la Guida suprema, Alì Khamenei, aveva promesso che a infliggere “colpi schiaccianti” sarebbe stato il cosiddetto “Asse della resistenza”. Cioè, per capirci, la risposta militare sciita non sarebbe arrivata direttamente dall’Iran, ma avrebbe dovuto essere portata dalle milizie foraggiate dagli ayatollah, che operano nella regione.

Assassinio Nasrallah il detonatore

Più in generale, occorre dire che l’assassinio mirato di Nasrallah, lungi dal rafforzare le divisioni esistenti nel mondo politico persiano, è invece servito da “collante”. Di fronte alla sfida di Netanyahu, anche l’ala riformista-moderata ha reagito duramente. Tirando in ballo il presunto doppiogiochismo degli Stati Uniti. In particolare, il Presidente Masoud Pezeshkian, la cui elezione tante speranze aveva suscitato in Occidente, ha detto “che Washington è complice dei crimini commessi da Israele”. Riferimento anche alle bombe usate nel ‘blitz’, le micidiali GBU-31 “bunker busters” fornite dagli Usa. Pezeshkian è stato pesante, accusando la Casa Bianca di avere consentito a Netanyahu di bombardare Beirut mentre parlava all’Assemblea generale dell’Onu. Una sorta di “sacrilegio diplomatico”.

L’Iran moderato tradito

Si è sentito “tradito” dagli americani anche il riformista Mohammad Javad Zarif, Ministro per gli Affari strategici, il quale ha dichiarato che “la resistenza contro Israele si intensificherà dopo il martirio di Nasrallah”. Zarif (come Pezeshkian) è un nome cruciale, per il futuro di un Iran più democratico. Tra le altre cose, è stato il brillante negoziatore del primo accordo sul nucleare, nel 2015. Accordo che poi è stato stracciato per volere di Donald Trump.

Escalation Netanyahu

L’acuirsi della crisi e l’escalation imposta da Netanyahu, alla fine, come risultato pratico, stanno mettendo alle corde il partito dei riformisti-moderati in Iran. Costretti a combattere su due fronti: da un lato l’ostilità occidentale verso il regime, che si riverbera pesantemente sull’economia; e dall’altro lo scontro sempre più aspro con gli ambienti nazionalisti-religiosi del Paese. Insomma, gli Stati Uniti hanno fatto del loro meglio per continuare a guastare i rapporti col popolo iraniano. E ora siamo a un turning-point.

La “bomba per salvarsi”

Dalle parti di Teheran, politici, religiosi, tecnici, militari, insomma le classi dirigenti che contano, hanno capito che forse costruirsi la “bomba” è la migliore assicurazione per evitare di ingoiare altri torti geopolitici in futuro. Inutile girarci appresso, l’ultima stazione di questa crisi è essenzialmente quella. Il senatore Usa Lindsey Graham, adviser di Donald Trump, non ha dubbi: “Ciò che l’Iran sta imparando da questa crisi – ha detto alla CNN – è che probabilmente è meglio avere un’arma nucleare, piuttosto che non averla”.

Niente atomica ma tanto plutonio, dice AIEA

E allora sentiamo cosa dice, in proposito, Rafael Grossi, il direttore generale dell’AIEA (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica). “Attualmente non abbiamo trovato alcuna indicazione – afferma – che esista un problema di armi nucleari. Allo stesso tempo, abbiamo scoperto la produzione di grandi quantità di uranio altamente arricchito, che non è estraneo a questa situazione”. Un colpo al cerchio e uno alla botte, dunque. In effetti, un rapporto AIEA di agosto parlava di 164,7 Kg. di uranio arricchito al 60%, quando gli accordi dicono che il massimo è 3,67%. Un abisso. Quindi?

Tre atomiche possibili a fidarsi della Cia

“Risponde l’Intelligence americana: secondo stime fatte, l’Iran è in condizione di costruirsi tre bombe atomiche “nel giro di un paio di settimane”. Capito, finalmente, perché Netanyahu non vede l’ora di demolire, missile dopo missile, i siti nucleari degli ayatollah?”

 

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Articolo di Piero Orteca dalla redazione di

2 Ottobre 2024