DI MARIO PIAZZA
Ci sono vocaboli che definiscono il modo di pensare di chi li pronuncia, la sua appartenenza culturale o peggio le tare che da essa derivano.
A volte le usiamo per scherzo come quando tra maschi definiamo “scopabile” una femmina ancora piacente, ma se davvero uno pensa che quello sia un modo per suddividere le donne in due categorie ci troviamo di fronte a un malato mentale. Per ragioni simili una persona di destra non userà mai la parola “proletario” mentre una di sinistra cercherà di tenersi sempre alla larga da “patria” o “razza”. Sono concetti pericolosi che ci definiscono ben oltre la nostra volontà.
La parola “infame” usata dal Manzoni quasi 200 anni fa per scrivere degli untori che spargevano il bacillo della peste a Milano ha da tempo abbandonato il lessico normale e quotidiano per sopravvivere soltanto nel gergo della malavita. Infame è chi tradisce la propria banda, infame è chi fa la spia, infame è chi rinnega i propri complici per un interesse personale.
E che altro vi aspettavate dalla capa di una banda che opera a tempo pieno per rapinarci dei diritti sociali e civili e delle più elementari forme di umanità e solidarietà e che ha pianificato l’assassinio della Costituzione e della democrazia per mano di killer improvvisati? Di una banda si tratta, e nelle bande chi tradisce non merita perdono.
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Mario Piazza