L’eredità di Pierangelo Bertoli

DI ALBERTO MARUBBI

REDAZIONE

 

Il prossimo 5 novembre Pierangelo Bertoli compirebbe 82 anni.
Il 7 ottobre scorso ricorreva il ventiduesimo anniversario della morte.
Artista e musicista in controtendenza. Anche per lo stesso cantautorato italiano.
Era considerato, a torto, un cantante politico; il figlio Alberto Bertoli ha più volte sottolineato come egli fosse in realtà un cantante sociale. Lui cantava per la gente (“Caro amico per favore Tu salutami gli amici Ed il popolo che è tutta la mia gente Sono loro il vero cuore Che mi preme ricordare Che rimpiango e che mi ha amato veramente” da “Rosso colore”, 1974).
Artista coraggioso quando a metà anni ‘70 scrisse uno dei primi brani in Italia aventi la tutela dell’ambiente come tematica (“Eppure soffia”).
Ha inciso canzoni nel proprio dialetto (quello sassolese), sebbene sia stato quello sardo insieme alla voce di Andrea Parodi e i Tazenda a fargli raggiungere l’acme (“Spunta la luna dal monte”, Festival di Sanremo 1991, brano di speranza umana e sociale).
Non ha avuto remore nell’attaccare con vigore le chiese il parlamento i sindacati, 
le banche e gli altri centri del potere (“Così”, 1983).
La poetica di Bertoli è stata ed è un concentrato di tante tematiche, da quelle sociali all’amore: “Per dirti t’amo, amo te, bastava solo che guardassi intorno a me” (“Per dirti t’amo”, 1974).
Potremmo andare avanti all’infinito, ma sempre “a muso duro”.
Per fortuna, in questi ultimi anni Pierangelo è stato riscoperto e rivalutato; a lui sono state intitolate pure vie e piazze. Per dirla con Ugo Foscolo, “nessuno muore finché vive nel cuore di chi resta”.
E come ogni anno, anche in questo 2024 prenderà il via il Premio Bertoli, una delle manifestazioni culturali più importanti del nostro paese (8/10 novembre, teatro Carani di Sassuolo, in provincia di Modena).
Infine, il 22 novembre avrò l’onore di raccontare Pierangelo insieme ad Alberto Bertoli in un’intervista cantata presso Space4business a Genova.
Per concludere, in questa attuale società malandata ci auguriamo che nascano nuovi Bertoli, “perché a stare in trincea sono gli uomini normali, non i capi di stato o i generali” (“Varsavia”, 1984).

Alberto Marubbi, da: