DA REDAZIONE
Rem dalla redazione di REMOCONTRO –
“Viaggio sulla collina depressa” titola Limes. In un celebre sermone del 1630 un candidato governatore parlò di «città sulla collina» -dal Sermone della Montagna di Gesù-, l’eccezionalismo americano, l’America che agisce come un “faro di speranza per il mondo”. Ma è ancora così? Per il severo Federico Petroni oggi l’America va al voto con la paura di perdere il ‘sogno americano e con rischio di perdere la democrazia, mentre Luca Celada ci svela il piano Trump per vincere comunque
“Sogno americano” o democrazia?
Le elezioni in America alla volata finale. Trump è risalito nei sondaggi. Harris ha meno del 2% di vantaggio necessario per vincere. Siamo nel margine d’errore. Le rilevazioni potrebbero essere sbagliate. Stavolta a vantaggio di Trump: per provare a correggere le falle (enormi) del 2016 e 2020, i sondaggisti hanno modificato il campione inserendo più elettori repubblicani. Se invece fossero giusti, l’ex presidente potrebbe persino prendere più voti in totale della candidata democratica: non gli è mai capitato. Ma oggi non esistono dati per una previsione ragionevole. Il risultato è impronosticabile.
Minaccia di golpe, inflazioni immigrazione
Harris ha scelto come messaggio finale la difesa della libertà e la minaccia di Trump alla democrazia. Ha tenuto un grande evento nel parco dell’Ellisse, lo stesso dal quale il suo avversario innescò l’assalto al Congresso il 6 gennaio 2021. Il leader repubblicano, invece, martella sull’inflazione, sull’immigrazione e sulle élite corrotte di Washington. Scelte che riflettono le priorità delle rispettive basi. Ma quale delle due funziona meglio? L’analisi nello Stato chiave della Pennsylvania.
La guerra in Medio Oriente e le elezioni presidenziali
“Fra gli indecisi, in entrambe le località, l’ago della bilancia sembra essere l’economia, non la democrazia. È una costante a livello nazionale tra le persone meno interessate alla politica. Non necessariamente danno la colpa dell’inflazione all’amministrazione Biden. Dai due candidati solo promesse mirabolanti senza copertura fiscale, anche se i dazi proposti da Trump almeno nel breve periodo avrebbero una spinta inflazionistica.”
La rivista “socialista” Jacobin
Qualche giorno fa, la rivista “socialista” Jacobin ha pubblicato un interessante sondaggio. Harris non funziona perché in Pennsylvania si vince con un messaggio fortemente populista. «Bersagliare aggressivamente le élite economiche che si arricchiscono mentre i lavoratori americani soffrono (…) e incolpare non solo le élite economiche e Trump ma un ventaglio più ampio di politici a Washington per aver lasciato indietro i lavoratori». In pratica Harris dovrebbe far la guerra al suo partito. E la minaccia alla democrazia è la meno sentita dall’elettorato.
Un referendum su Trump
Harris aveva ottime ragioni per fare dell’elezione un referendum su Trump. Ma la vicepresidente non incarna la ribellione, a differenza del suo sfidante. Ciò può costarle la Casa Bianca. Se vincerà sarà per la stanchezza nei confronti dell’ex presidente. Eppure l’attacco alla democrazia compatta la base, ma non sembra sfondare tra gli indecisi. «L’argomento più popolare è il rancore per le calanti opportunità. È presto per stabilire che la democrazia conti meno del sogno americano, ma rischia di essere la posta in gioco del 5 novembre. Averli disgiunti è già a suo modo una sconfitta», l’allarmata conclusione di Federico Petroni.
“Salto nel vuoto”: Usa, le tre fasi dell’eversione
“Allarmatissimo Luca Celada sul Manifesto, secondo cui Trump che perde avrebbe già pronto il suo piano per vincere comunque: prima le fake news, poi i ricorsi ai tribunali già stilati e infine le pressioni sulle commissioni elettorali. E la piazza a rischio di guerra civile. Nel 2020 aveva sette milioni di voti in meno di Biden, e fece quello che fece.”
Proclamarsi comunque vincitore
Nell’incertezza profonda della vigilia, l’unico pronostico affidabile è che -forse- nella notte tra martedì e mercoledì (nella mattinata italiana) Donald Trump annuncerà la propria vittoria e che lo farà con maggiore foga se le proiezioni, a spoglio ancora in corso, dovessero, in quel momento, sfavorirlo. Esiste, certo, la possibilità che si profili una effettiva vittoria di Trump, ma è più probabile che, soprattutto negli Stati chiave dove i margini si preannunciano millimetrici, si debba attendere fino ad alcuni giorni prima di conoscere l’esito effettivo del voto. È in questo scenario che si potrebbe ripetere il tentativo di sovvertire il risultato con una strategia delle «elezioni rubate».
Le false accuse di frode
Il partito di Trump non ha mai ammesso la sconfitta del 2020, confermata da ogni verifica e ribadita dai tribunali in 64 ricorsi su 65, ma ha preparato il terreno per una replica delle false accuse. Nelle ultime settimane il partito ha accentuato le insinuazioni e le paradossali accuse di stranieri importati per votare illegalmente e ripreso le fake news su schede false e su terminali di voto hackerati (persino dalla Cina). Un tam-tam di disinformazione veicolata soprattutto dai social di Elon Musk al suo vasto pubblico di 200 milioni di follower.
Prima fase del “Piano B”
La prima fase del «piano B» è dunque già in atto. Giovedì scorso Trump ha denunciato la presenza di 2.600 schede false in Pennsylvania. Venerdì è rimbalzato in rete un video che ritraeva un «immigrato haitiano» in procinto di distruggere schede pro Trump. Video tarocco collegato a una troll farm russa. La ‘dezinformatsiya’ è notoriamente immune alle rettifiche, né suscettibile a smentite, insinua sospetto e semina confusione. Per lo zoccolo duro vale la dichiarazione di Tucker Carlson: «Stavolta non accetteremo mai la falsa sconfitta». Una minaccia, mentre da mesi vengono fomentati sospetti.
Spoglio elettorale armato
Per contromisura le sedi degli spogli elettorali quest’anno sono state fortificate. A Maricopa, in Arizona e centro di complottismo negazionista, l’ufficio di spoglio sarà sorvegliato da droni e da cecchini sui tetti. A Detroit sono stati installati vetri antiproiettile, a Philadelphia i magnetometri. Scene che fino a dieci anni fa sarebbero state fantapolitica. E se mai ci fosse bisogno di fotografare ulteriormente un federalismo pericolosamente vicino alla disgregazione, negli “stati rossi-repubblicani” (Texas, Arkansas, Missouri, Florida) rifiutano di accreditare osservatori del ministero federale di giustizia.
Fase due del piano Trump
Se si profilassero, come del tutto probabile, dei testa a testa in uno o più degli stati chiave, verrebbero immediatamente formalizzati ricorsi nei tribunali su presunte irregolarità. Scopo primario congelare eventuali spogli sfavorevoli e incrementare la confusione dentro la quale far salire la pressione politica: lo scenario della Florida nel 2000 quando Al Gore, vincitore del voto popolare, perse “a tavolino” dopo un braccio di ferro su 538 voti irregolari in Florida. E gli avvocati del Gop hanno già sporto più di cento denunce «preventive».
Terza fase
Terza fase del piano, il partito di Trump sta anche esercitando pressioni sulle commissioni elettorali. Nel 2020 Trump aveva telefonato di persona a presidenti di commissione di alcuni Stati, per «far saltare fuori» i voti necessari. Allora il rifiuto di alcuni funzionari, repubblicani ma coscienziosi, fecero la differenza respingendo le pressioni. Molti però, da allora, sono stati rimossi dal partito e sostituiti con personale più «affidabile».
Quarta fase
Dopo la certificazione da parte degli stati serve la ratifica definitiva da parte del Congresso e attorno a questa potrebbe scattare la quarta fase del piano. Introdurre grandi elettori «alternativi» selezionati dai parlamenti degli swing states per favorire Trump. Allora il piano fallì perché il Congresso li rifiutò ed il vice Mike Pence ratificò il risultato originale. Quest’anno il vice che presiederà la seduta plenaria del 6 gennaio sarà Kamala Harris, ma è anche vero che la delegazione di parlamentari della destra sarà assai più numerosa e in grado di imporre un voto per respingere la ratifica.
“E quella data non potrà che tornare a evocare il drammatico assalto a Capitol Hill. A monte di tutto incombe la Corte suprema, che come massima autorità giudiziaria potrebbe risultare decisiva nel dirimere una crisi costituzionale e assegnare la presidenza contesa. Stavolta con una schiacciante maggioranza di togati dichiaratamente favorevoli a Donald Trump.”
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Articolo a firma Rem dalla redazione di
3 Novembre 2024