Un altro “capolavoro” targato Lega

DI LEONARDO CECCHI

LEONARDO CECCHI

 

Risbuca in manovra la riforma del TFR targata Lega e Durigon, che è totalmente fuori dal Paese reale e si configura come una bella marchetta ai fondi pensione.
Se passerà, per tutti i lavoratori dipendenti ci sarà il silenzio-assenso e dopo 6 mesi il loro TFR verrà automaticamente trasferito in un fondo previdenziale (tolto quello già accumulato).
La riforma, così pensata, è inutile e anzi dannosa per motivi che anche un bambino capirebbe.
Primo.
Gli unici a cui salterà fuori una pensione integrativa decente saranno i lavoratori dipendenti stabili del ceto medio (quelli della PA ad esempio), perché dotati di un reddito soddisfacente che genererà un accantonamento altrettanto decente per l’ottenimento di una seconda pensione. E comunque anche verso di loro si tratta di una forzatura.
Secondo.
Se la riforma voleva contenere il problema delle basse pensioni e l’insostenibilità di una previdenza INPS umanamente decorsa, fallisce perché in Italia abbiamo milioni di precari a partita iva o para-subordinati per cui il TFR proprio non esiste (incluso il sottoscritto, per altro) e per i quali, dunque, il problema rimane.
Terzo.
Abbiamo milioni di lavoratori subordinati contrattualizzati in maniera miserevole (tempo determinato, a chiamata ecc.) che hanno redditi bassi o bassissimi e che conseguentemente hanno un accantonamento del TFR così irrisorio da rendere tecnicamente impossibile la configurazione di un livello minimo per l’integrativa (che fine faranno quei 10/15mila euro di Mario, precario da una vita, una volta che verranno coattamente spostati in un fondo pensione ma non saranno sufficienti per l’integrativa? Questo non ci è dato saperlo).
Quarto e ultimo.
Il governo amico delle imprese toglie alle stesse una preziosa fonte di liquidità (i TFR appunto) per darli ai fondi previdenziali privati, già ricchi e straricchi. Il tutto in un quadro di semi-stagnazione economica e tassi ancora alti che strangolano il credito alle imprese.
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Complimenti, cari leghisti. Un capolavoro.
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Leonardo Cecchi