DI ENNIO REMONDINO
Da REMOCONTRO –
La situazione è più grave di quanto dicono i media e di quanto sembrano ritenere i politici, la valutazione preoccupata di IRIAD, l’Istituto di ricerche internazionali ’Archivio Disarmo’. L’Occidente che rincorre la guerra sulla pelle del popolo ucraino e la Russia che se colpita in casa ricorda al mondo il suo arsenale atomico. 4.380 testate attive più altre 1.200 in attesa di smantellamento. Armi strategiche pronte all’impiego 1.701 con 588 sistemi di lancio. 870 sono dislocate su missili balistici terrestri, 640 su missili balistici sottomarini e altre 200 nelle basi aeree pronte a decollare. 1.525 armi tattiche (corto e medio raggio).
L’Occidente ricorre con soldi in armamenti. Secondo il SIPRI, nel 2023 la NATO europea ha speso 376 miliardi di dollari in armamenti, più della Cina (296 mld $) e oltre il triplo della Russia (109), e spesi male, a discapito del vivere civile sempre più problematico e precario.
Le spese militari e il benessere sociale
L’analisi impietosa di Maurizio Franzini, economista, professore di Politica Economica alla Facoltà di Economia della ‘Sapienza’ di Roma, che parte da dati a loro modo elementari. «Dal momento che non vengono tagliate altre spese nè viene aumentato il gettito fiscale, le risorse destinate all’acquisto di armamenti rischiano di essere prelevate da quelle destinate al welfare, in particolare dalle poste più rilevanti per dimensioni e impatto sociale (la sanità) ovvero per potenzialità future (l’ambiente)».
Tendenze delle spese militari
Le spese militari in Europa dopo un declino durato mezzo secolo hanno ripreso a crescere da circa un decennio. Tra il 2013 e il 2023 nei paesi europei che aderiscono alla Nato tali spese sono aumentate del 46% (in Italia del 26%), soprattutto nell’acquisto di armi (+168%), mentre il Prodotto Interno Lordo è cresciuto soltanto del 12%, quindi le spese militari sono molto aumentate anche come quota del Pil. Tendenze, sostanzialmente in atto da quando la Russia si prese la Crimea nel 2014. E non è sorprendente che le previsioni, per il prossimo futuro, confermino questa tendenza, afferma lo studioso.
L’Unione europea molto/troppo Nato
Secondo la Commissione Europea Von der Leyen bis, nella valutazione nel prossimo decennio si sostiene che occorreranno investimenti aggiuntivi per la difesa per 500 miliardi di euro. Ribadendo anche la necessità che tutti i paesi Nato rispettino l’impegno di destinare il 2% del Pil alle spese militari. E non sarà facile, almeno in casa nostra. 7 paesi sono al di sotto di quella quota e tra di essi c’è l’Italia, dove il rapporto (utilizzando i criteri di calcolo della Nato) è attorno all’1,5%. «C’è poi da vedere se Trump reitererà la minaccia di lasciare la Nato nel caso la spesa europea per la difesa non cresca e c’è da vedere quali sviluppi avranno le guerre in corso, considerando che anche se in Ucraina si giungesse rapidamente alla pace gli impegni dell’Unione Europea potrebbero non beneficiarne», avverte lo studioso. «Le condizioni della pace potrebbero porre, anche soltanto in parte, a carico dell’UE il rafforzamento della sicurezza dei confini ucraini».
I costi sociali delle spese militari
Sulla prospettiva del benessere sociale, il docente spiega che «le spese militari si giustificano principalmente (esclusivamente?) se permettono di ‘comprare’ sicurezza che di certo ha un valore sociale che è tanto più alto quanto più essa scarseggia (tenendo conto dei rischi)». Ma non tutte le spese militari hanno questa funzione: alcune/molte sembrano rispondere ad altre esigenze socialmente assai meno rilevanti. Illudendoci di evitare disonestà e sprechi, «la ‘sicurezza comprata’ non dovrebbe essere indipendente dai costi che occorre sopportare per sostenere quelle spese». A tali costi si presta troppo poca attenzione, contribuendo a nascondere i costi sociali, i tagli da fare e su cosa, per dare spazio a quelle spese. Mentre nelle spese che servono alla sicurezza potrebbero nascondersi sprechi, cioè spese non necessarie per assicurare la stessa sicurezza.
Le innovazioni prodotte dalle guerre
Spesso si tende a sottolineare che le spese militari avrebbero altri effetti positivi al di là di quello della sicurezza. Citate spesso (e spesso a sproposito) le innovazioni, di cui beneficerebbero anche altri settori dell’economia. Esperienze passate di innovazioni nate, appunto, nel settore delle armi e poi adottate in molti altri settori. Come le missioni spaziali. Poi, gli effetti di ampliamento della attività economica, quindi del reddito e della occupazione. Il fenomeno del moltiplicatore del reddito. Ma l’innovazione non è una prerogativa esclusiva dell’industria bellica e la crescita economica di cui sopra, vale per ogni settore produttivo. Anche la ricerca per salvaguardare il clima del pianeta producono risultati derivati importanti e meno micidiali. Per non parlare della ricerca nel campo della sanità, ‘Bih Pharma’ e parte.
Più armi, più industria e più soldi in circolazione?
Numerosi studi sugli effetti moltiplicatori della spesa militare non sono affatto positivi a confronto di altri tipi di spesa pubblica. «Vuol dire che se si spende, ad esempio, un milione per l’acquisto di armi il reddito e l’occupazione cresceranno meno di quanto crescerebbero se quel milione fosse destinato a contrastare il cambiamento climatico». Quindi beneficio economico della spesa militare limitato e anche le entrate per il bilancio dello stato che dipendono dalla crescita del reddito (e dalle aliquote fiscali). «Tali entrate, ad aliquote invariate, non saranno sufficienti a coprire le maggiori spese militari; si apre quindi un ‘buco’ nel bilancio pubblico che può essere colmato sostanzialmente in tre modi: aumentando il debito, riducendo altre spese, aumentando le aliquote fiscali».
Tassare i ricchi o tagliare le spese sociali?
La scelta prevalente sembra essere stata quella di ridurre le spese per la sanità, e ciò invita a riflettere sul perché. L’ipotesi più accreditata e solida, il fatto che gli effetti di quei tagli non si vedono immediatamente e non sono immediatamente identificabili coloro che ne soffriranno. Né, d’altro canto, sono state aumentate le aliquote fiscali. «Una diffusissima avversione rispetto all’aumento delle imposte alimentata dal pregiudizio che tutti ne sarebbero danneggiati. Ma l’aumento delle imposte – sul reddito e sui patrimoni – dovrebbe riguardare principalmente, o anche soltanto, i ricchi e i super ricchi». Mentre è noto che un piccolo ‘segmento della popolazione’ (si parla del 1%) concentra nelle sue mani una quota elevatissima del reddito e della ricchezza complessivi.
Tasse e benessere sociale
Non esistono dubbi sul fatto che il benessere sociale, comunque inteso, è danneggiato molto di più se si procede a tagliare la spese per la sanità piuttosto che a aumentare le imposte ai più ricchi. La questione si pone anche rispetto al finanziamento delle spese necessarie per realizzare la cosiddetta ‘transizione verde’. Per finanziare queste spese ha preso vigore la richiesta di tassare a livello globale i più ricchi ed esistono proposte concrete, come quella presentata allo scorso G20 in Brasile, che sembrano guadagnare consensi. Se il mondo e l’Europa hanno bisogno di più sicurezza e se hanno bisogno di realizzare la decarbonizzazione, occorrono risorse e vi sono buone ragioni per sostenere che devono provenire principalmente da chi è molto ricco.
La sicurezza strategica e l’efficienza
Problema tra diversi ‘benesseri sociali’: il ‘valore’ della sicurezza acquistata con le spese militare giustifica la perdita di benessere implicata dalla necessità di finanziarla? Esiste un modo efficiente e poco costoso per procurarsi la sicurezza strategica di cui si ha bisogno? A questa domanda chi possiede le giuste competenze risponde che i modi sono più di uno: dall’integrazione politica a livello regionale alla cooperazione economica internazionale, alla stipula di trattati per il disarmo. Politiche che richiedono tempo per essere realizzate e in loro mancanza possono facilmente crearsi situazioni di emergenza nelle quali la sicurezza sembra acquisibile solo con elevate spese militari. La situazione in cui ci troviamo.
Comunque limitare una spesa folle
Possibile limitare la spesa per ‘comprare’ sicurezza e, con essa, i costi sociali in termini di aumento delle imposte o, più gravemente, di riduzioni di spese sociali. A livello europeo, la prospettiva di integrazione delle industrie nazionali delle armi e di coordinamento tra gli Stati. Grande attenzione nel Rapporto Draghi che cita l’industria bellica negli USA: le 51 imprese presenti nel 1990 sono diventate, oggi, 5. Molte le perplessità. La competitività di cui tratta il Rapporto non è nei singoli mercati ma tra Paesi. Un’Europa più monopolista nel settore delle armi per competere meglio con gli USA e anche con la Cina. «La questione non è semplice e la lasciamo qui», concede Maurizio Franzini, sapendo di aver toccato una problematica divisiva e scottante.
Benessere sociale e spese militari
«Sintetizzando quanto si è cercato di argomentare, si può affermare che in una ideale prospettiva di benessere sociale le spese militari richiederebbero di affrontare numerosi problemi. Il primo, il valore assegnato alla sicurezza; secondo è la ‘minimizzazione’ della spesa per ‘comprare’ sicurezza; il terzo è la scelta della modalità di finanziamento di quella spesa». Sul terzo problema, la tendenza a nascondere la necessità di questa scelta e a evitare un’aperta discussione sul tema. Nella realtà si procede, silenziosamente, riducendo soprattutto la spesa sociale, e principalmente quella per la sanità.
“L’alternativa, escludendo il debito pubblico, è l’aumento delle tasse, una misura in generale assai impopolare anche per il diffondersi di narrative non esenti da condizionamenti interessati. Accrescere le imposte sul reddito e/o sulla ricchezza dei più ricchi – quindi non in modo indiscriminato – a impatto sociale assai meno gravoso del taglio della spesa sociale.”
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Articolo di Ennio Remondino dalla redazione di
21 Novembre 2024