DI GIANCARLO SELMI
Quando nel 2018 il Movimento 5 Stelle riempì il parlamento italiano di gente come Ciampolillo e la Cunial (cito i due a mo’ di esempio, c’era di peggio), inaugurando la legislatura con più cambi di casacca della storia (furono più di 100 quelli che dal movimento migrarono, anzi transumarono, in altri partiti, prevalentemente di destra), eravamo allo zenit della messa a terra dei princìpi originari. Quelli che tanto nostalgicamente vengono adesso rievocati e reclamati da Grillo e compagnia cantante.
Princìpi, in realtà mai applicati, basti constatare come furono composte le liste elettorali che causarono la introduzione nelle istituzioni, di gente che credeva nelle scie chimiche, anziché nei poteri degli sciamani nativi dell’Oregon. Qualche click dei parenti e molte nomine dirette del padroncino Di Maio. Regola chiave: vicinanza o amicizia con qualcuno. Nessuno si scandalizzò quando (pressoché sempre) la tanto sbandierata democrazia dal basso, dal basso non provenisse affatto.
I risultati furono nefasti. Inutile dare la colpa a Giuseppe Conte di cose delle quali non ha responsabilità.
Il fracasso cominciò con quelle liste, con la sciagurata pesca a strascico che le formò, insieme a una strana forma di nepotismo. Molti si iscrissero e continuano a farlo, per mettersi in attesa del proprio turno, del turno che avrebbe permesso l’ascesa al paradiso. Erano garantiti dalla regola dei mandati che quel turnover garantiva. Il Movimento era diventato il più grande ascensore sociale del mondo. Di tutto, dal neonazista, al leghista, al comunista, aderì. La bandiera non esisteva, il vero collante era l’arrivismo.
Ci siamo riempiti di personaggi in cerca d’autore e di poltrona, tutti ammaliati dall’incantesimo dell’uno vale uno, che veniva svilito del senso originario, fino a diventare un mantra che spiegava la presunta uguaglianza fra uno preparato e un coglione.
L’io ha predominato sul noi. Il superamento della regola del limite dei mandati ha gettato tutta quella gente nella più cupa disperazione. Anni di aspettative personali bruciati dal voto della Costituente. Quel voto ha creato una categoria, quella dei pre-trombati. Che oggi sfogano la loro disperazione nel modo che conosciamo.
Per la maggioranza di loro, escluso qualcuno, non ci sono idealità. Il vero minimo comune denominatore che li anima non è costituito da valori ma di pura ambizione personale. Nessuna idealità può motivare la reazione, il modo scomposto e distruttivo, con il quale quella gente sta contestando Conte e ha rifiutato dibattito e partecipazione.
C’è solo l’intervenuto ostacolo alla loro smodata e in molti casi non giustificata, ambizione. Null’altro che questo.
Nella foto i giovanissimi che, invece, hanno partecipato.
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Giancarlo Selmi