DI MARIO PIAZZA
Quando due parole di significato opposto si incontrano nella stessa frase per creare un’immagine retorica, classico esempio il silenzio assordante, lo chiamiamo ossimoro. Quando lo stesso meccanismo riguarda non singoli vocaboli ma interi concetti entrambi di per sé validi ma in conflitto tra loro parliamo di paradosso.
Dirsi progressisti e sostenere la guerra in Ucraina è un paradosso, e peggio mi sento se esso abbandona la sua forma astratta per diventare oscenamente concreto come il sostegno del Partito Democratico alla commissione Von der Layen.
Il salto logico che un progressista deve fare per approvare la corsa agli armamenti contro la Russia è troppo arduo. Non basta la ridicola immagine dei cosacchi di Putin che abbeverano i loro cavalli nella fontana di Trevi, non basta la risibile difesa della libertà di una nazione come l’Ucraina che nei suoi 33 anni di indipendenza si è dimostrata più nazistoide che democratica.
Non basta perché la guerra non è un argomento come gli altri su cui dividersi per passione, leggerezza o ignoranza. Dalla guerra ricadono su di noi tutte le afflizioni che un progressista deve per definizione combattere, non solo morte e distruzione ma anche crisi economica e instabilità politica e sociale che vanno a scarnificare quel poco di protezione di cui ancora gode la parte più debole della popolazione, quella per cui “progredire” non è soltanto una legittima aspirazione ma una questione di vera sopravvivenza.
Giustificare un simile paradosso è impossibile e delle due l’una:
O smettiamo di sostenere la guerra o smettiamo di definirci progressisti.
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Mario Piazza