DI MARIO PIAZZA
Quando leggo dei guadagni astronomici di sportivi, attori e cantanti l’invidia è un sentimento che riesce appena a sfiorarmi per un fuggevole attimo, subito sepolta sotto una valanga di sacrosanta indignazione. Non ce l’ho con loro, a renderli straricchi non sono tanto i loro a volte discutibili talenti quanto la stupidità umana, quella che spinge chi se lo può permettere a comprare a prezzi irragionevoli le loro scarpe, i loro caschi e le loro racchette, a pagare biglietti d’ingresso indecenti per assistere ai loro spettacoli e a consumare i prodotti che pubblicizzano. Così va il mondo, ai campioni rimane il merito di procurarci gioia ed emozioni.
Diverso, molto diverso è quando 3 milioni al mese e una liquidazione da 100 finiscono nelle tasche di un manager come l’AD del gruppo Fiat Carlos Tavares. Nel suo caso è l’indignazione ad essere fuggevole per lasciare spazio a una rabbia sorda che avrebbe tutto il diritto di diventare incontrollabile.
Rabbia non per le auto indecenti che la Fiat sta producendo sotto la sua guida e neppure per gli spietati tagli di personale e le truffaldine chiusure di stabilimenti, nel capitalismo avanzato non c’è alcuno spazio per l’etica e per i sentimenti e tantissimo per i somari.
Rabbia perché a riempire le tasche di Tavares con cifre mostruose quanto immeritate non sono folle plaudenti e volontarie e neppure gli azionisti di riferimento che lo hanno scelto i quali intascano serenamente i loro dividendi anche se gli affari vanno a rotoli.
Rabbia perché a rendere straricco un uomo moralmente pessimo e professionalmente incapace sono le sue stesse vittime, quelle che da decenni vivono nell’ansia della precarietà con stipendi insufficienti sui quali pagano tasse oscene che poi lo stato elargisce ad autentici farabutti senza avere nulla in cambio.
Anche nell’indecenza dovrebbe esserci qualche proporzionalità, ecchecca*zo, perché se diamo 100 milioni a uno come Tavares a uno come Sinner dovremmo darne almeno millemila.
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Mario Piazza