DI MARIO PIAZZA
Avrò avuto una dozzina d’anni quando il Natale smise di piacermi.
Non solo ero un anticlericale precoce che cominciava ad associare le festività religiose all’insopportabile autoritarismo della parrocchia ma era anche il periodo in cui il mio tran tran familiare veniva assediato da parenti e conoscenti dei quali per il resto dell’anno quasi ignoravo l’esistenza.
Pochi anni più tardi ebbe inizio la mia maturazione politica. Ormai ateo sogghignavo ascoltando le storielle sulla verginità della madonna e compagnia cantante e contemporaneamente prendevo coscienza di come tutto il marchingegno servisse più che altro a spillare quattrini anche a chi per tutto l’anno ne vedeva ben pochi.
Per tutta la vita ho trascorso le festività natalizie in una specie di apnea, cercando con poco successo di scansarne le rotture di cog*ioni senza ferire nessuno ma allo stesso tempo rifiutandomi di inalare quell’atmosfera fasulla che tutti sembravano respirare con gioia a pieni polmoni.
Pensavo di essermela cavata con pochi danni e invece mi sbagliavo, perché ora che sono anziano il Natale è diventato l’occasione perfetta per la tristezza, per mettere in fila tutte le persone che hanno avuto un ruolo importante nella mia vita e che non ci sono più. Le uniche a cui con le lacrime agli occhi vorrei davvero poter dire “Buon Natale”.
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Mario Piazza